Repubblica.it ha scritto:
Guerra nel Caucaso, come i droni di ultima generazione hanno cambiato il combattimento
L’offensiva dell’Azerbaijan, che ha riacceso gli scontri nel Nagorno Karabakh a fine settembre, è apparsa inizialmente l’ennesima scossa di assestamento nel Caucaso del post Unione Sovietica, con l’Armenia destinata a ristabilire il controllo sull’enclave cristiana in territorio azero grazie alla tradizionale superiorità militare. Poi l’escalation dei combattimenti ha mostrato invece una nuova capacità delle forze di Baku, vantata pubblicamente dal presidente Ilham Aliyev e basata soprattutto su tattiche innovative e nuovi strumenti di battaglia.
Secondo la ricostruzione del think tank britannico Rusi, gli azeri hanno avviato la campagna il 27 settembre, cercando di prendere il controllo dei villaggi sopra le vie di transito fondamentali, e affrontando una forte resistenza degli armeni. Le perdite azere erano limitate soprattutto alle truppe coinvolte nell’avanzata, in particolare sui carri armati colpiti da missili anticarro. Le vittime armene invece erano distribuite su tutto il campo di battaglia, effetto di colpi d’artiglieria e di bombardamento dei droni: un bilancio di perdite e danni molto più significativo del previsto.
Le nuove armi utilizzate dalle forze di Baku comprendono i missili balistici israeliani Lora, in grado di colpire obiettivi con un errore massimo di dieci metri (mentre gli equivalenti in mano armene hanno precisione molto più limitata), i “droni kamikaze” Harop, anch’essi di produzione israeliana, di piccole dimensioni e dunque capaci di sfuggire ai radar, oltre ai droni killer turchi Bayraktar, che avrebbero distrutto oltre un centinaio di carri armati T-72 di Erevan colpendo in profondità oltre le linee armene, guidati forse anche da istruttori mandati da Ankara.
L’uso di questi ultimi UAV segue tattiche di combattimento già rodate in conflitto, visto che i Bayraktar sono più o meno l’equivalente turco dei Reaper statunitensi, protagonisti di battaglie ed esecuzioni mirate in Asia e nel Corno d’Africa. La novità strategica è invece l’uso esteso dei piccoli Harop, droni kamikaze che di fatto sono poco più che proiettili teleguidati. E’ vero che le forze israeliane li usano da decenni, ma un precedente ancora più significativo sembra essere quello dei droni giocattolo modificati per portare bombe dai jihadisti dell’Isis nella battaglia di Mosul. In quell’occasione la superiorità aerea garantita dalla presenza dei cacciabombardieri Usa si rivelò inutile, contro i piccoli quadricotteri modificati che volavano a bassa quota con un piccolo carico di esplosivo.
Il passo avanti strategico, in altre parole, era nell’utilizzo diffuso di armi molto economiche, che possono fare danni estesi (in genere i tank non sono protetti contro attacchi dall’alto) e che possono essere fermate solo con contromisure molto costose. Queste considerazioni hanno spinto persino il Pentagono a offrire un contratto di 1,2 miliardi di dollari per un sistema di difesa ravvicinata denominato Im-Shorad, affidato a General Dynamics in partnership con Raytheon e Leonardo Drs. La sezione Usa dell’azienda italiana si occupa della difesa elettronica montata sui blindati Stryker, che montano i sistemi di missili Stinger antimissile e anti drone.
Il problema è che i missili Stinger lanciati contro i droni costano attorno ai 150 mila dollari l’uno, mentre un quadricottero modificato ne costa meno di duemila. L’industria degli armamenti si sta mobilitando a progettare piccoli missili economici, costruiti con stampanti in 3D, in attesa di poter schierare armi laser, più adatte per questa necessità. Ma nel frattempo, in questa fase dello sviluppo tecnologico, gli analisti militari sono propensi a vedere che il vantaggio, nell’eterno inseguimento di tecniche militari, sta più negli attaccanti che nelle difese. Gli sciami di piccoli droni, insomma, sono una lancia che colpisce dove lo scudo per ora non può proteggere.
Bye
Phant