Il RecceLite sul Tornado

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Il RecceLite sul Tornado

Messaggio da Phant » 5 maggio 2020, 19:56

Battaglia Blog - Marcello Battaglia ha scritto:
Il RecceLite sul Tornado

Premessa

L’esigenza di conoscere le manovre dell’avversario per poter anticipare per tempo le più adeguate strategie di risposta è stata da sempre una tra le più stringenti necessità di ogni apparato militare. L’Arma principe devoluta a questo tipo di compito è l’Aeronautica in quanto, con le missioni di ricognizione aerea, ha avuto sin dai primordi la preziosa prerogativa di poter vedere ben al di là delle linee nemiche. Le prime azioni comportavano il fatto naturale che il pilota potesse osservare con i propri occhi quel che accadeva sotto di se. Con il progredire della tecnologia si è passati a fotografie aeree e riprese da bordo con obiettivi e pellicole sempre più sofisticate sino agli anni 70 , epoca in cui è entrato in servizio la ricognizione all’infrarosso consentendo di vedere anche in piena oscurità. Tuttavia, se i sensori di bordo subivano dei notevoli progressi non si può dire altrettanto dei processi a terra. Le tecniche di sviluppo, infatti, e più ancora quelle di fotointerpretazione sino ad oggi si sono appoggiate a sviluppo di pellicole ed a procedure “artigianali”, consentendo buoni risultati in gran parte dovuti alla capacità, all’esperienza ed al tempo speso dal fotointerprete. Ai giorni nostri si è finalmente affacciata l’informatica a supportare i menzionati processi e, l’A.M. ha inteso aggiornare i propri assetti fornendo il velivolo Tornado ed in prospettiva l’AMX, di un nuovo pod per le missioni di ricognizione per rimpiazzare dei sistemi ormai obsoleti. Di qui la decisione dello Stato Maggiore Aeronautica di incaricare il Reparto Sperimentale Volo ed Alenia Aeronautica, in uno sforzo congiunto, per portare a compimento l’integrazione di un nuovo pod sul Tornado una cui prima tranche di prove è avvenuta presso Decimomannu nel periodo giugno-ottobre 2007.

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Il Pod israeliano è montato sullo shoulder destro sotto la pancia del Tornado. I pesi e le inerzie sono identici a quelli del già certificato illuminatore laser in uso sui Tornado tedeschi, per cui non è stato necessario ripetere alcun test di tipo aeromeccanico.

Il modus operandi

Allo scopo di contrarre i costi ed i tempi per l’entrata in servizio del nuovo pod, la Forza Armata ha inteso muoversi verso tre direzioni principali. La prima di esse è stata quella di individuare, nel software operativo Tornado, una serie di routines già esistenti che consentissero l’impiego del pod senza dover ricorrere alla scrittura ex novo, assai costosa, di nuovi programmi. Ci si è, pertanto, rivolti verso una “nicchia” di detto software già utilizzata dal puntatore laser montato sui Tornado tedeschi. Tale software si adattava ragionevolmente bene a gestire l’impiego del pod da ricognizione italiano. Una seconda direzione è stata la realizzazione in ambito Forza Armata delle modifiche al software precedentemente individuato e finalizzate a gestire al meglio il pod italiano. Un’ultima scelta, infine, è stata quella di rivolgersi verso un prodotto tecnicamente avanzato, ma anche ritenuto sufficientemente maturo e collaudato. Di qui la scelta di integrare il RecceLite pod della israeliana Rafael ampiamente utilizzato con successo dagli F 16 con la stella di Davide, dagli F 16 olandesi, dagli F 18 spagnoli e dai Mirage indiani.

Il sistema RecceLite

L’introduzione di questo nuovo equipaggiamento non può essere intesa nella riduttiva accezione di poter semplicemente disporre di un carico aggiuntivo da attaccare sotto il velivolo. Al contrario, per giungere all’impiego di questo pod in volo, occorre espletare tutta una serie di compiti collegati fra loro e svolti su sistemi a terra dedicati necessari al funzionamento del pod stesso. Tali compiti sono sintetizzabili come segue. Si inizia con una pianificazione tramite l’impiego di una stazione dedicata, si prosegue con il caricamento sul pod dei dati salienti ottenuti, si effettuano le riprese in volo le quali tornano a terra per la successiva analisi. E’ quindi più corretto parlare di “Sistema Reccelite” la cui descrizione dei vari segmenti è di seguito fornita. Il segmento aereo è costituito dal pod che va sotto il velivolo, noto con il nome di Airborne Reconnaissance Pod (ARP). Esso contiene i sensori in grado di recepire le immagini, un proprio sistema di registrazione delle stesse e le restanti parti elettroniche e meccaniche per consentire il funzionamento di quanto menzionato. Il segmento di terra è costituito dalla stazione di programmazione del pod e di analisi delle immagini, nota con il nome di RecceLite Ground Exploitation Station (RGES o GES). Inoltre, esiste un’ ulteriore componente del segmento di terra, concepito per consentire la pianificazione ed una sommaria analisi delle immagini anche senza il completo ausilio di una GES. Tale sistema, con funzionalità ridotte, consiste in un PC portatile, detto RecceLite Portable Station (RPS). I dati calcolati con la GES od RPS sono trasferiti a bordo del pod ( operazione di upload) tramite una memoria allo stato solido (SSR). La SSR, una volta installata a bordo del pod, diventa, a sua volta, il supporto su cui vengono registrate tutte le immagini in volo. A fine volo, pertanto, la SSR viene estratta dal pod e fatta scaricare su GES o RPS (operazione di download). Queste due ultime operazioni possono avvenire anche via etere in tempo quasi reale tramite l’ausilio di un sistema di trasmissione dati detto RecceLite Ground Data Link Segment (GDLS) che collega la porzione di terra del sistema (GES e/o RPS) e pod in volo. In figura 3 la visone d’insieme delle varie componenti del “Sistema Reccelite”.

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L’introduzione di questo nuovo pod non va intesa nella semplicistica accezione di attaccare un nuovo carico al posto del “vecchio pod”. L’impiego di RecceLite, infatti, prevede lo svolgimento preventivo e successivo al volo di una serie di compiti collegati fra loro tutti svolti su hardware dedicati. Questo complesso di azioni fa si che sia più corretto parlare di “Sistema RecceLite” e non più semplicemente di “pod”.

Airborne Reconnaissance Pod e suo impiego in volo

Il pod è diviso in tre sezioni. Una sezione frontale, consistente in una testa completamente rotante sui tre assi, accoglie il payload costituito da un sensore ottico ed un altro infrarosso. Il sensore ottico ha 4 focali. Si ha, infatti, un “wide” field of view (FOV) che consente di mappare porzioni molto ampie di terreno, un “medium” fiel of view, un “narrow” ed, infine un “supernarrow” field of view. Quest’ultimo, invece, consente di focalizzare l’attenzione da lunghe distanze su zone estremamente limitate di terreno con una dovizia di dettagli molto maggiore. Il sensore IR, invece, ha tre FOV.

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Il pod è composto da tre sezioni. Quella frontale comprende la testa ed i sensori video e flir. In questa particolare immagine la testa del pod è chiusa. Quella centrale contiene la componentistica elettronica ed il ricettacolo per l’SSR. La parte di coda contiene gli apparati di raffreddamento. Si notino le aperture sulla testa del pod per i due sensori ed in basso il contenitore dell’antenna di bordo dedicato al data link.

La totalità del controllo del pod è appannaggio del cockpit posteriore. Per cui la selezione di ciascuno dei citati FOV avviene molto rapidamente tramite opportuni comandi posti sul Navigator Hand Control (NHC), una piccola stick sita tra le gambe del Weapon System Officer (WSO). Il resto dei controlli ed il display su cui vedere le immagini è costituito dal TV/TAB sinistro.

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La gestione del pod è eseguita esclusivamente dal posto posteriore sia con la Navigator Hand Control (NHC), che è la stick che si trova tra le gambe del WSO, sia tramite il TV Tab sinistro.

L’immagine che il navigatore vede su tale schermo è una “sintesi” di quanto in realtà il pod è in grado di vedere e registrare. Il sistema è dotato di autofocus, tuttavia, sia tale funzionalità, sia quella che governa l’esposizione, vanno opportunamente verificate all’inizio di ogni volo per essere sicuri di poter operare al meglio per il resto della missione. E’ , inoltre, lasciata la prerogativa al navigatore di modificare manualmente alcune regolazioni che caratterizzano il funzionamento del pod. La parte centrale del pod contiene, invece, tutta l’elettronica, tra cui l’alloggiamento dell’unità SSR, che è una memoria allo stato solido. La sezione centrale, inoltre, presenta una bugna verso il basso che contiene l’antenna destinata a scambiare dati con la stazione di terra. Il pod è dotato di una propria piattaforma inerziale aggiornata con dati GPS il che consente al pod di andare a puntare con grande precisione la zona di interesse indipendentemente dai movimenti del velivolo. La parte posteriore, infine, contiene il sistema di raffreddamento degli apparati. Parliamo ora dell’impiego il quale abbraccia un ampio inviluppo di quota e velocità. Le operazioni a terra si sviluppano secondo le modalità ormai tipiche di un qualunque altro carico “1760”, ossia dotato di proprio ricevitore GPS, (p.es JDAM, Stormshadow, EGBU 24) già integrato sul Tornado prevedendo, prima di qualunque altra azione a bordo, il completo allineamento della piattaforma velivolo. Dopo il decollo il sistema va “tuned” (ottimizzato) a media quota tramite le verifiche delle routines che governano l’ autofocus e l’ esposizione precedentemente menzionate. In termini di impiego le funzionalità in volo del pod sono due: un modo AUTO ed un modo Manual. Il pod, sia nel funzionamento automatico che in quello manuale, può effettuare le proprie riprese in modalità “stereo” che in “mono”. Sarà capitato a tutti noi di vedere due foto eguali in buona parte sovrapponibili, riprese, tuttavia, da un’angolazione leggermente diversa. Ebbene, se entrambe queste immagini vengono avvicinate al viso si giunge ad una distanza alla quale ogni occhio ne vedrà una. A questo punto è il nostro cervello che ci mette il resto, fornendoci la percezione della terza dimensione che le due immagini piane, separatamente, non riescono a darci. La ripresa di un’immagine da due prospettive lievemente differenti svolta dal pod, detta appunto “stereo”, è quella che consente di ricreare quell’effetto tridimensionale appena menzionato e che risulta particolarmente utile nello studio delle immagini a terra.
Vediamo i dettagli del funzionamento in AUTO. In sede di pianificazione a terra viene stabilito cosa osservare e con quale risoluzione e, conseguentemente, quale deve essere il corridoio tridimensionale ed il range di velocità entro cui il velivolo deve muoversi per soddisfare i requisiti di accuratezza. Il pod, una volta portato in volo nella zona in cui sa che deve iniziare a riprendere, apre la sua testa ed inizia il suo lavoro senza alcuna necessità di intervento da parte del navigatore puntando da solo dove deve. Nel contempo, il WSO ha la possibilità di monitorare sul suo Tv/Tab tutto quel che il pod osserva e registra. Tramite opportune selezioni, inoltre, anche da bordo si possono vedere le singole immagini con la stessa dovizia di dettagli tipica del pod. Inoltre, tutto quello che si sta registrando può essere rivisto a piacere a bordo od essere inviato a terra via data link. Oltre alla modalità di ripresa stereo o mono, ci sono altri sottomodi di funzionamento in AUTO, questa volta derivanti dalla pattern eseguita dal sensore. Infatti, il sensore può cioè essere puntato su di un obiettivo puntiforme e continuare ad osservare lo stesso per tutta la durata della ripresa. Questo modo di funzionamento è detto “stare”, dall’inglese “fissare”; in esso vengono realizzate una serie di foto succedanee sempre dello stesso soggetto, come da schema in figura 6.

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Figura 6. In Stare (sia auto che manual) i sensori sono puntati su di un punto e gli stessi continuano ad osservare lo stesso per tutto l’intervallo della ripresa.

Un altro modo di funzionamento è quello che consente di scannerizzare un determinato rettangolo di terreno di estensione desiderata. Quanto sopra a prescindere dagli spostamenti di rotta e di assetto compiuti dal velivolo. Il pod, cioè, muove la sua testa in modo tale da coprire sempre, con foto successive nel tempo ed adiacenti nello spazio la striscia di terreno pianificata. Tale modo è detto appunto “strip” ossia “fettuccia”, come si evince dalla figura 7.

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Figura 7. Il pod (sia in auto che manual) effettua una serie di foto individuali che, indipendentemente dai movimenti del velivolo, coprono una regione rettangolare al suolo di dimensione volute.

La seconda modalità d’impiego del pod è quella Manuale. Quella cioè in cui il navigatore può cercare direttamente in volo i propri target spostando con l’NHC la testa del pod. Ciò richiede un notevole carico di lavoro, mansione che è auspicabile venga svolta su velivoli biposto.Una volta individuato quanto di interesse il pod può stabilizzarsi su quel punto e tale stabilizzazione può realizzarsi tanto su base di calcolo operato dalla piattaforma inerziale del pod, quanto in seguito al tracking elettrottico di uno dei suoi sensori. Il secondo di questi due metodi appare, al momento, il più maturo da utilizzare in volo. Il pod, inoltre, è anche in grado di “traccare” con i suoi sensori anche degli obiettivi in movimento sul terreno (p.es. un mezzo in movimento). Anche nel funzionamento manuale si possono effettuare riprese in stereo o mono, con sottomodi “stare” o “strip”. A questi se ne aggiungono altri due, molto utili per cogliere al volo target di opportunità. Il primo di questi, detto “spot”, consente la ripresa di un quadrato di dimensioni selezionabili via TV/Tab e centrato su dove il navigatore ha messo la sua NHC. Anche in questo caso l’immagine complessiva, restituita poi dalla stazione a terra, è costituita dall’unione delle singole foto, come in figura 8.

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Figura 8. Il pod (solo in Manual) osserva una regione di spazio di forma quadrata di dimensioni volute attorno ad un punto date coordinate.

L’ultimo sottomodo, detto “path”, è specificamente studiato per quando si vuole effettuare l’osservazione di una linea di comunicazione o seguire un target prevalentemente lineare (p.es strada, valle, linea di costa). In tal caso i sensori vengono orientati secondo una delle posizioni disponibili e solidali agli assi velivolo (p.es. sensore che guarda 45° in basso sotto l’ala destra) e la ripresa avviene facendo seguire al velivolo un tracciato parallelo al target prescelto, come in figura 9.

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Figura 9. Il pod (solo in Manual) pone i sensori in una posizione fissa rispetto agli assi velivolo. E’ il tipico funzionamento se il velivolo vuole seguire una strada od una valle, ossia un target lineare.

Solid State Recorder

Si tratta di una grossa memoria allo stato solido, una sorta di grande pennina USB, in grado di operare sia come parte integrante del segmento di terra (GES o RPS) sia in volo nel comparto elettronico del pod. Come anticipato è proprio questa doppia modalità di uso che consente il trasferimento di dati da terra a bordo prima del volo e da bordo a terra dopo il volo figura 10 e 11.

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La SSR consente di far far pervenire al pod i dati di pianificazione provenienti dalla GES e viceversa. Si noti la SSR nel centro del vano avionico riconoscibile dalla maniglia piatta rivolta verso l’alto. La SSR (oggetto nero), al rientro dal volo, è estratta dal pod ed inserita in un’ interfaccia che ne scarica il contenuto (immagini) sulla GES.

A terra vengono caricati dalla GES o RPS tutti i dati che consentono il funzionamento del pod in automatico, in stereo o mono, e nelle modalità “stare” o “strip”. L’SSR, opportunamente inserito in un ricettacolo del comparto elettronico del pod, diventa la memoria dello stesso. Per cui l’ARP va in volo con le informazioni, e vedremo quali, con cui poter funzionare in automatico. In volo, il pod esegue le sue riprese e tutte le immagini vengono registrate sull’SSR. Questa memoria, una volta atterrati, viene estratta dalla sua sede ed inserita in un’interfaccia connessa a GES o RPS. A questo punto tutto quello che è stato registrato diventa disponibile anche a terra. Le capacità di memoria dell’SSR sono amplissime poiché il pod può registrare per ore senza che sopraggiungano limitazioni dovute al riempimento dello spazio disponibile. E’ importante menzionare che l’SSR reca al proprio interno anche la porzione di data base tridimensionale del terreno su cui si andrà ad effettuare il volo e consentire al pod di poter orientare correttamente i propri sensori sul terreno.

RecceLite Ground Exploitation Station (RGES o GES) in generale

La “GES” è costituita da una rete di computer ed è impiegata prima di andare in volo per la pianificazione di riprese in modo “AUTO” del pod. Dopo la missione (e quando sarà disponibile il data link anche durante la missione) la GES è utilizzata per lo studio (exploitation) delle immagini portate dalla stessa. Per il soddisfacimento dei menzionati compiti, il sistema deve poter immagazzinare al proprio interno una gran quantità di dati (p.es missioni precedenti, archivio delle immagini di target precedentemente riprese, cartografia di varie scale, ortofoto) e tutti i necessari algoritmi per poterne fruire su video in tempo reale di quanto sopra. Sia l’hardware che il sistema operativo sono entrambi prodotti commerciali acquistabili “off the shelf”. L’hardware è la tipica architettura di una rete di computer: c’è un server, sino ad un possibile massimo di 8 stazioni per la fotointerpretazione, stampanti, memorie di massa, la stazione di un amministratore di sistema ed, infine, le interfacce verso l’esterno costituite dall’ apparato per l’upload ed il download dell’SSR, nonché dalla stazione del Data Link.

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L’hardware della GES è la tipica architettura di una rete di computer: c’è un server, sino ad un possibile massimo di 8 stazioni per la fotointerpretazione, stampanti, memorie di massa, la stazione di un amministratore di sistema ed, infine, le interfacce verso l’esterno costituite dall’ apparato per l’upload ed il download dell’SSR, nonché dalla stazione del Data Link.

La GES e la funzione di mission planning per il pod

Iniziamo dal “Mission Planning”, ossia la pianificazione a terra che governa l’attività del pod in volo in funzionamento automatico. Tutto parte dalla ricezione di un “Task Order” inviato dai Comandi Superiori in cui viene definito cosa riprendere, quando e con quale dettaglio. Il sistema GES, come accennato, ha al proprio interno carte geografiche ed ortofoto delle zone di interesse. Con ortofoto si intende una fotografia aerea dalla quale si può desumere, come su di una carta geografica, coordinate e quota. Un’ortofoto di zone molto estese è di solito ottenuta da un collage di più ortofoto adiacenti. La GES è in grado di operare i necessari calcoli affinché a video, in tempo reale, si può scorrere a piacimento in ogni angolo della copertura senza soluzione di continuità. Una volta individuato su di una carta (od ortofoto) il target da riprendere (sia esso un punto od un’area), il team di pianificazione si mette all’opera. Per il mondo Tornado il Navigatore in cooperazione con l’Ufficiale Fotointerprete definiscono le “leg” (tratte) che il velivolo dovrà effettuare in modo tale che il pod possa eseguire le riprese della qualità richiesta sui vari target in esse presenti. Nella risoluzione di questo problema si fronteggiano due generi di “visioni”, di solito divergenti. Quella del fotointeprete che è focalizzata all’ottenimento di immagini con la miglior risoluzione possibile (la cosiddetta NIRS, National Imagery Interpretability Scale) e quella dell’equipaggio, che, deve, invece tener conto di altri fattori. Questi ultimi si possono riassumere nella dovuta considerazione delle minacce circostanti, delle possibili restrizioni imposte dal controllo del traffico aereo e delle limitazioni imposte dalle condizioni meteo. Queste due visioni devono trovare un giusto punto di mediazione ed il vantaggio di operare su di un sistema computerizzato è che, in tempo reale, si può reiterare più volte lo studio di una medesima leg sinchè non si giungerà al giusto compromesso di tutte le esigenze. Una volta identificata la sequenze dei target e delle leg e relative “tolleranze” di ciascuna di esse (ossia l’ampiezza di un corridoio entro cui il velivolo potrà trovarsi per portare a casa immagini di data qualità), ed i parametri di funzionamento del pod per ciascuno degli obiettivi, il tutto è trasferito sull’SSR per poi arrivare sul pod imbarcato.

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La pianificazione della GES permette la programmazione del pod con funzionamento in AUTO. In buona sostanza tale pianificazione consiste nell’individuare il percorso tridimensionale ideale che il pod dovrà percorrere ad una data velocità. Ogni deviazione da tale pianificazione, purchè avvenga entro un corridoio di determinate dimensioni, consentirà l’acquisizione di immagini della accuratezza attesa (NIRS). Si noti in figura il percorso ideale in blu, il punto di inizio scanning e di fine scannino da parte del pod, la corrispondente porzione di spazio al suolo osservata baricentrata attorno al target riconoscibile in verde.

Il processo a terra si conclude con il travaso dei dati individuanti ciascuna leg (p.es punto di inizio e punto di fine), dalla GES al sistema di pianificazione di missione del velivolo (Mission Planning Station o MPS). Ciò consentirà al velivolo di potersi dirigere con i propri apparati di navigazione ove il pod si attende di essere portato per funzionare correttamente nella sua modalità in automatico. Se per un qualche motivo il pod non potesse funzionare in automatico come pianificato, il navigatore, unico gestore del sistema in volo, potrà intraprendere le possibili azioni correttive per rientrare nel corridoio assegnato, così come indicato sul TV/Tab, od operare in Manual per portare a casa comunque delle immagini.

La GES ed il post/intra mission analisys

Come già accennato precedentemente le immagini acquisite a bordo, sia in AUTO che in Manual, possono essere tanto registrate su SSR e, quindi scaricate su GES, tanto, in un futuro molto prossimo, inviate alla stessa direttamente da bordo via Data Link.
Se si vuole, questa è la parte “produttiva” dell’intero processo. La missione, infatti, è andata in volo proprio per riportare immagini e la GES, con la sua notevole capacità di calcolo e di image processing, è un potente strumento nelle mani del fotointerprete, per estrarre le informazioni operative. Una prima scorsa delle immagini, detta “detection”, viene fatta dal Mission Manager, il fotointerprete più esperto, il quale osserva il “mosaico” restituito dalla GES Figura 14 quando la ripresa è avvenuta in strip, spot e path o la singola immagine in stare.

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Gli algoritmi di georeferenziazione della GES consentono la restituzione automatizzata ed in tempo reale della composizione di più foto conseguenti a riprese del tipo strip, spot o path. In tempi precedenti un simile processo prendeva molto tempo ed era molto impreciso.

Si intende per mosaico il risultato della corretta giustapposizione delle singole foto, operazione eseguita in tempo reale da opportuni algoritmi della GES. Dopo questa prima scorsa, il Mission Manager assegna ai vari fotointerpreti operanti nella rete GES, il task di studiare i dettagli. Tale fase è indicata come fase di “investigation”. Ciascuna immagine, gestita dal singolo fotointerprete, può essere ingrandita, ruotata, schiarita, scurita, resa più contrastata, confrontata con quelle analoghe precedenti. Si possono effettuare precise misurazioni di angoli, distanze, coordinate, quote del terreno. Un target può essere studiato tramite la sovrapposizione di due immagini provenienti dai due sensori diversi, ottenendo utili indicazioni sia dallo spettro del visibile che da quello infrarosso. Se la ripresa è stata effettuata in Stare su di un punto, la GES è in grado di ricostituire un vero e proprio filmato che consente di individuare movimenti di uomini e mezzi avvenuti nell’intervallo della ripresa. Decisamente impressionante la capacità del sistema di ricostruire l’immagine del target ripreso in 3 dimensioni. La ripresa in “Stereo”, infatti, caratterizzata da un’alta sovrapposizione dei fotogrammi, consente la ricostruzione sulla GES della terza dimensione. Pertanto, si può facilmente ricostruire l’altezza di un muro o le dimensioni di una struttura verticale guardando uno speciale schermo (detto Z screen) con occhiali particolari.

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La ripresa in “Stereo”, caratterizzata da un’alta sovrapposizione dei fotogrammi, consente la ricostruzione sulla GES della terza dimensione. Pertanto, si può facilmente ricostruire l’altezza di un muro o le dimensione verticale di una struttura guardando uno speciale schermo (detto Z screen) con occhiali particolari.

Sull’immagine, inoltre, si possono riportare annotazioni ed esportare i files grafici in svariati formati per una rapida diffusione o successivo “retrieving” (reperimento) su supporto elettronico. Una volta effettuata una attenta investigazione , l’Image Analyst segna sull’immagine i possibili “oggetti di interesse”, classificandoli “friend” , “foe” o “suspect” e creando la reportistica del caso in accordo agli standard NATO, con notevole guadagno di tempo.

RecceLite Portable Station (RPS)

Poiché la GES è un complesso piuttosto esteso da movimentare può accadere che impellenze operative dettino l’esigenza di un rapido planning o di una quick analysis giusto a ridosso della prima linea. Per questo motivo la Rafael ha messo a punto il software necessario per consentire le attività basiche raccolte su di un compatto “laptop”. Il concetto di impiego è il medesimo della GES ma, naturalmente, le performances sono più limitate. Infatti, in quest’apparato può essere contenuta una porzione molto più piccola di DEM e di ortofoto. Inoltre, le capacità di calcolo non consentono una georeferenziazione delle immagini così accurata come avviene per la GES. Tuttavia, tramite questo PC portatile si riescono a svolgere le basilari funzioni di pod mission planning, image interpretation, e reporting. La RPS può, inoltre, essere connessa alla GDLS e provvedere alle comunicazioni bilaterali con il pod in tempo reale. Infine, oltre ad operare in stand alone può essere anche connessa alla rete GES ed ivi utilizzata come workstation aggiuntiva di limitate capacità.

Reccelite Ground Data Link Segment (GDLS)

Questo segmento del sistema consente il contatto biunivoco tra pod a bordo e GES a terra. Questo contatto, che si espleta su altissime frequenze, veicola dal velivolo le immagini catturate dal pod. Nel contempo, tale apparato consente di inviare da terra le istruzioni necessarie per un retasking in volo del pod ed un minimo di messaggistica in alfanumerico, una sorta di SMS, che compare sul TV/Tab del navigatore. L’intera stazione di Data Link è gestita da opportune videate presenti sulla GES. In esse vengono definite il tipo di operazione che si intende svolgere ed il settaggio di parametri specifici che consentono di compierle. Ad esempio, fanno parte delle prime l’acquisizione dati dal pod oppure, ad esempio, il termine dell’invio dei dati . Fanno parte della seconda famiglia il tracking pattern dell’antenna ed i canali radio da impiegare. L’invio da parte del pod dei suoi dati è un qualcosa di pianificato a terra e si svolge ad orari ed in specifiche locazioni geografiche . Le antenne del segmento Data Link, sia quella di terra che quella sottostante il pod, sono altamente direzionali. Al momento il testing dell’intero segmento Data Link è previsto per la metà del 2008.

Le prove svolte in Sardegna

Nel periodo giugno – ottobre 2007 si sono svolte prove congiunte tra Reparto Sperimentale Volo ed Alenia Aeronautica. RSV si è dedicato prevalentemente ad aspetti di performance andando a verificare quantitativamente le prestazioni di ripresa dei vari sensori per ottenerne una previsione dei risultati operativi ed ha volato con un Tornado di produzione. Le Operazioni Volo Alenia, invece, si sono concentrate sugli aspetti di integrazione avionica, di “man machine inteface” e di verifica delle funzionalità del sistema volando con un prototipo Tornado opportunamente strumentato. Alenia aveva inviato in Israele proprio personale navigante già dal 2005 per familiarizzare con il pod utilizzando il test bed Rafael.

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Alenia, già dal 2005, aveva provveduto ad inviare proprio personale navigante in Israele a familiarizzare con il RecceLite montato su un Cheyenne utilizzato come test bed.

Durante tutto il periodo delle prove è sta presente la Ditta Rafael, produttrice del pod e del software GES, per supportare la campagna. Da questa valida collaborazione è venuto fuori un prodotto il quale, ancorché perfettibile ed impiegabile entro ben precise condizioni ambientali, certamente mette le capacità Recce dei Tornado italiani al passo con i tempi. Si pongono in figura alcune interessanti immagini prese durante la campagna di prove.

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1. Immagine video: nessun velivolo. 2. Immagine flir: denota la presenza di un velivolo che si è da poco spostato. 3. Immagine flir di personale su piazzole in piena notte. 4. Immagine Flir: si noti la differenza esistente tra serbatoi pieni e serbatoi vuoti.

Bye
Phant
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