Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

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Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 26 settembre 2012, 16:38

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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 28 agosto 2016, 18:57

Analisidifesa.com ha scritto:
Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

La People’s Liberation Army Navy (PLAN), ossia la Marina da Guerra della Repubblica Popolare, ha dato molto rilievo all’entrata in servizio nel settembre del 2012 della sua prima porterei, l’ormai ben nota Liaoning.

La stampa specializzata ha fornito accurate descrizioni di questa nave e degli aerei in dotazione sottolineando soprattutto che si tratta di unità ex ucraina, di progettazione sovietica, varata nel dicembre 1988 e, se pure riallestita con molta cura dai cantieri cinesi, di concezione abbastanza superata e rientrante nella categoria delle “portaerei STOBAR” vale a dire che involano i propri velivoli dopo una breve corsa (STO- short take off) grazie a un “trampolino” (sky-jump), ma possono farli appontare utilizzando cavi d’arresto (BAR- but arrested recovery).

In questi ultimi anni personalità di Pechino di grado elevato hanno più volte dichiarato la volontà cinese di dotarsi assai presto di altre unità porterei di dimensioni e tonnellaggio maggiori dell’unità oggi in servizio e quindi con un reparto volo più consistente e performante.

La gestione di grandi unità porta velivoli è certamente un grosso impegno per qualsiasi marina, ma riteniamo che quella cinese, che conta circa 255.000 effettivi, sia certamente in grado di farlo soprattutto perché possiede un’Aviazione Navale sin dalla fine degli anni ’60 e che è oggi composta da circa 26.000 uomini e più di 690 velivoli.

Gli strateghi navali del nuovo Celeste Impero hanno infatti da tempo capito l’importanza di avere una forza aerea specializzata per l’impiego sul mare allo scopo di assicurare non solo la difesa della flotta di superficie, ma anche di svolgere operazioni di pattugliamento e ricognizione delle proprie acque territoriali e di svolgere missioni di interdizione ed attacco contro forze di superficie e subacquee avversarie.

L’entrata in servizio delle Liaoning, che imbarca cacciabombardieri J-15, non fa che aumentare il raggio d’azione dell’Aviazione Navale permettendo alle Task Forces cinesi di operare con una discreta sicurezza anche negli Oceani.

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Le dotazioni aeronautiche di questa Aviazione Navale sono molto differenziate comprendendo una consistente forza di elicotteri ed una ancora più numerosa forza di velivoli di vari tipi.

Con una componente di alcune centinaia di elicotteri l’Aviazione navale cinese può svolgere tutte le operazioni proprie delle marine d’altura, quali quelle ASuW e ASW, partendo dalle sue basi terrestri sparse lungo la costa e da molti dei nuovi modelli di caccia e fregate.

Può inoltre assicurare una discreta copertura AEW, il trasporto d’assalto dei suoi marines dalle nuove navi anfibie tipo LPD-LHP, il rifornimento verticale dalle navi ausiliarie e operazioni di supporto di vario tipo.

La consistente componente ad ala fissa è ormai dotata di velivoli da caccia e da attacco della cosiddetta 4^ generazione perfettamente in grado di svolgere i ruoli tipici di supremazia aerea soprattutto in confronto delle marine minori dell’Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico.

I suoi nuovi velivoli di grosse dimensioni dotati di MAD e boe possono garantire una buona difesa contro i sottomarini, mentre i bombardieri a grande autonomia dotati di missili antinave rappresentano una consistente minaccia anche per i gruppi navali americani o occidentali spesso presenti nelle acque d’interesse cinesi.

La politica navale cinese sta raggiungendo molti degli obiettivi che si era posta già una ventina di anni fa.

La PLAN può essere oggi considerata la seconda forza navale mondiale dopo la US Navy e la sua Aviazione Navale ne è una delle componenti principali ed in via di costante miglioramento quantitativo e qualitativo.

Gli ammiragli cinesi ne hanno perfettamente capito l’indispensabile funzione in una “well balanced fleet” e investono molte risorse per la sua costante crescita.

L’Occidente farebbe bene a seguire con molta attenzione questo sviluppo considerando non solo la pure importante apparizione delle portaerei nell’inventario cinese, ma esaminando con molta cura le caratteristiche dei mezzi aerei in servizio e la loro dislocazione operativa nei vari aerodromi costieri.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 28 novembre 2016, 18:53

Analisidifesa.com ha scritto:
Pronta al combattimento la portaerei Liaoning

Citando il commissario politico della Liaoning, comandante Li Dongyou, i media cinesi hanno annunciato che la prima portaerei della storia della PLAN (People’s Liberation Army Navy’s) è “pronta al combattimento”.

Impostara come gemella della russa Admiral Kuznetsov, attualmente impiegata da Mosca nelle operazioni in Suria, la Liaoning venne acqistata ancora incompleta nei cantieri ucraini e poi immessa nei ranghi della Marina cinese per addestramento e per trarne elementi utili a sviluppare una nuova classe di portaerei “made in China”.

Nell’agosto scorso la portaerei venne mostrata dalla tv di Stato in navigazione con sul ponte di volo 8 cacciabombardieri Shenyang Aircraft Corporation (SAC) J-15 fighters ed elicotteri Z-18 e Z-9.

Come ricorda il Jane’s Defence Weekly si tratta del più importante dispositivo aereo visto sulla Liaoning da quando nel novembre 2012 iniziò le operazioni di volo.

Secondo il contrammiraglio Yin Zhou la portaerei da 60 mila tonnellate è in grado di imbarcare fino a 20 velivoli inclusi gli elicotteri radar (airborne early warning AEW) Changhe Z-18J e antisommergibile Z-18F derivati dai francesi Super Frelon.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 28 aprile 2017, 17:04


Corriere.it ha scritto:
Pechino festeggia il varo della sua prima portaerei interamente "made in China", costruita nei cantieri di Dalian. La "Type 001A" (ma il nome è ancora provvisorio) è entrata in acqua con una grande cerimonia negli impianti China Shipbuilding Industry Corp alla presenza di Fan Changlong, il vice presidente della commissione centrale militare. Realizzata a tempo di record, è la più grande nave militare realizzata in Cina.

FONTE
http://video.corriere.it/cina-entra-ser ... c6fff9e45c
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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 5 maggio 2017, 19:21

Analisidifesa.it ha scritto:
Varata la seconda portaerei cinese

Varata il 25 aprile scorso, la Shandong (CV17) è la seconda portaerei della Marina di Pechino ma la prima ad essere stata interamente costruita in Cina, nei cantieri di Dailan che avevano completato la Liaoning (CV16), la portaerei acquisita in Ucraina ancora incompleta (la Varyag apparteneva alla classe russa Kuznetsov) e poi completata, migliorata ed equipaggiata in Cina.

Rispetto alla Liaoning, di cui è quasi una copia, la Shandong ha subito alcune modifiche e miglioramenti e costituisce la capoclasse della serie Type 001A che vedrà presto entrare in cantiere un’unità gemella mentre altre 2 portaerei più grandi (Type 004 da 80 mila tonnellate e probabilmente propulsione nucleare) sono in fase realizzazione nell’ambito del programma cinese teso a disporre di 5 portaerei entro il 2030 inclusa la Liaoning.

La Shandong, che affiancherà in mare la Liaoning nel 2020, appare un po’ più grande (tra 65mila e 70 mila tonnellate di dislocamento) della prima portaerei cinese ma ha un’isola più piccola, dispone di un radar più avanzato (Type 346 AESA) di un hangar più grande e potrebbe imbarcare una decina di velivoli in più.

Tra pochi giorni ANALISI DIFESA pubblicherà un ampio articolo sulla nuova portaerei cinese.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 27 giugno 2017, 16:33

Analisidifesa.it ha scritto:
Shandong: la prima portaerei interamente “made in China”

Quanto accaduto il 26 aprile scorso ricade nella fattispecie degli avvenimenti che possono essere definiti storici. Quel giorno, infatti, è stata varata la prima portaerei della PLAN (People’s Liberation Army Navy, cioè la Marina Cinese) di costruzione interamente nazionale: la Type 001A Shandong.

Nonostante la tradizionale riservatezza di Pechino, è opinione condivisa che l’interesse da parte cinese per un simile tipo di piattaforma possa essere fatto risalire almeno ai primi anni 70; se non prima. Il processo di potenziamento della PLAN stessa non era ancora “esploso” in tutta la sua importanza ma, ciò nonostante, si riuscivano già a intravedere i primi segnali della ferma volontà di accrescere le proprie capacità.

E solo a metà degli anni 80, quando viene varata la dottrina «Offshore Active Defense» che la Marina Cinese abbandona la sua dimensione fino ad allora pressoché costiera per entrare in una più alturiera. Il passaggio verso una vera e propria “Blue water navy” è appena iniziato, laddove come primo risultato si completa l’inclusione di entrambe le cosiddette «Island chain» che ancora oggi costituiscono un fondamentale riferimento geografico per le operazioni della PLAN. Che si tratti di una coincidenza o meno, visto che le reali intenzioni da parte cinese non sono mai state chiarite, proprio nel 1985 giunge nel Paese asiatico anche la portaerei Melbourne; destinata alla demolizione dopo essere stata radiata dalla Marina Australiana. In realtà, prima di essere davvero demolita, essa rimarrà praticamente intatta per anni, consentendo alla PLAN di studiarla attentamente; sebbene infatti tutti i sistemi più sensibili fossero stati rimossi, catapulta di lancio a vapore e sistema di arresto rimasero a bordo e successivamente replicati a terra per condurre alcune attività sperimentali.

Ma anche questa dimensione sta oramai stretta alla Cina e alla sua Marina. Tanto che agli inizi del nuovo millennio, la dottrina di Pechino si evolve ancora; con la «Distant sea defense» dunque, non solo si materializza l’ampliamento dei propri spazi vitali più prossimi e il rafforzamento del proprio ruolo di grande potenza regionale nell’area del Pacifico ma anche, se non soprattutto, si palesa la già evidenziata volontà di acquisire un ruolo su scala più globale.

Un processo che svilupperà nel corso dei successivi decenni, che (di fatto) è in corso ancora oggi e che, c’è da esserne sicuri, durerà ancora a lungo; un processo al cui interno poi non poteva certo mancare la dovuta attenzione verso quella che è considerata ancora oggi (magari in termini anche discutibili) la «capital ship» per eccellenza di ogni flotta che si rispetti: la portaerei.

Dopo la “particolare” vicenda della Melbourne, a metà anni 90 si segnalano ancora tentativi di acquisire dei progetti all’estero; in particolare, l’interesse si concentra su quelli elaborati dagli allora cantieri Bazan (oggi Navantia), noti come SAC-200 e SAC-220. Anch’essi proposti in configurazione CATOBAR (Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery) come l’unità australiana, di essa conservavano poi anche aspetti dimensionali simili; alla fine però, il tutto non andò oltre una qualche attività di consulenza.

Più o meno nello stesso periodo, fini con lo assumere una certa consistenza l’ipotesi che la Cina acquisisse quella Clemenceau da poco radiata dalla Marina Francese; anch’essa nella medesima configurazione CATOBAR e con dimensioni solo leggermente superiori alle precedenti. Al di là della reale consistenza di simili voci, resta il fatto che anche in questo caso non si concretizzò mai nulla in tal senso.

E questo perché, in realtà, la Cina stava già lavorando da tempo su un’ipotesi diversa: quella di acquisire la Varyag, cioè una portaerei della classe Kuznetsov varata nel dicembre del 1988 in quelli che oggi sono i Black Sea Shipyard in Ucraina. Sennonché, anche questa nave (così come molto altro ancora) finì con il rimanere coinvolta negli sconvolgimenti politici che, di lì a poco, portarono alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Dopo il varo, l’unità ancora non completata fu così posta in vendita, finendo con il suscitare l’interesse di diversi Paesi tra i quali non poteva mancare certo la Cina.

Tuttavia erano ancora gli anni del “grande gelo” seguito ai tragici fatti Piazza Tienanmen e quindi, almeno in un primo momento, l’acquisto non poté essere concluso. Ma a Pechino non si scoraggiarono di certo, tanto che per mezzo di uno stratagemma (erano gli anni in cui avvenivano operazioni simili con gli incrociatori porta-aeromobili Minsk e Kiev, sempre ex-Sovietici) la nave fu acquistata da una misteriosa società di Macao per essere trasformata in hotel e casinò galleggiante.

Una vicenda dunque “contorta”, contrassegnata da diverse difficoltà e dai numerosi contrattempi che hanno coinvolto le lunghe operazioni di rimorchio dall’Ucraina alla Cina; qui, la nave giunge nel marzo del 2002, peraltro in condizioni ormai pessime e priva persino dell’apparato propulsivo, per restare bloccata presso i cantieri Dalian Shipbuilding Industry Company (DSIC) per diversi anni ancora; e senza che, all’apparenza, fosse oggetto di lavori. Si dovrà così attendere il 2005 per assistere al suo ingresso nel bacino del sito produttivo della DISC a Dalian, dove sarà oggetto di una ricostruzione pressoché completa che potrà dirsi conclusa solo nel 2011 quando, una volta abbandonato il bacino per essere rimessa in normali condizioni di galleggiamento, di lì a poco inizia le sue prime prove in mare.

Ovviamente, con la Marina Cinese e non certo quale “attrazione” galleggiante…!

Il resto è storia recente, se non attualità; quella che nel frattempo è diventata la Liaoning (indicata anche come Type 001 e distintivo ottico di fiancata CV-16) è ormai in servizio nella PLAN dal 2012. Anche se, a oggi, tutte le valutazioni più attendibili concordano sul fatto che in realtà e sotto diversi aspetti l’unità potrebbe non aver ancora raggiunto la piena operatività.

Anche perché, una piattaforma già così complessa deve essere poi inserita in un dispositivo ancor più ampio e articolato; passaggi che devono essere inoltre accompagnati dallo sviluppo di concetti operativi adeguati. Un processo che potrebbe dunque essere ancora lungo, vista anche la totale inesperienza cinese; e questo nonostante il lungo lavoro svolto anche su installazioni a terra (nel dettaglio, a Wuhan dove è stata anche eretta una struttura che simula un ponte di volo).

L’aspetto comunque più importante è rappresentato dalla graduale integrazione del reparto di volo imbarcato e dal crescente numero di esercitazioni complesse, svolte con altre unità allo scopo di acquisire le necessarie conoscenza delle operazioni di un gruppo di battaglia incentrato su di una simile piattaforma.

La portaerei CV-17 Shandong, Type 001A

Ciò che è apparso chiaro fin dalle prime informazioni trapelate sui lavori di ricostruzione della Liaoning era che tale particolarità (quella per l’appunto di essere allestita a partire da uno scafo già realizzato e di un progetto definito, ancorché in parte modificabile) era destinata a rimanere un caso isolato.

Nonostante il classico alone di segretezza sulle reali intenzioni della PLAN e nonostante qualche informazione di carattere ufficiale i cui toni enfatico/propagandistici non consentivano di trarre delle conclusioni univoche, non sfuggiva a nessuno che la soluzione più logica sarebbe stata comunque rappresentata dalla prosecuzione di un programma volto a consentire la realizzazione di nuove piattaforme, questa volta di costruzione interamente nazionale.

Una conclusione logica che risponde a esigenze ancora più logiche; da un punto si vista operativo, non era infatti certo più possibile nascondere le velleità sempre più su scala globali della Marina Cinese e, quindi, la creazione di nuovi gruppi imperniati su portaerei sarebbe diventata una risposta a tali velleità.

Dall’altro, sempre in ossequio a una precisa strategia di Pechino, l’obiettivo rimane anche quello di acquisire gradualmente capacità tecnologico-industriali sempre più importanti.

Dato finale, la crescita sotto ogni punti di vista; anche di prestigio del Paese, sia nella regione del Pacifico sia in uno scenario internazionale più ampio.

E visto che si è parlato di logica, non si può fare a meno di considerare perfettamente rispondente a essa anche un’altra scelta; la nuova portaerei, la prima di costruzione interamente nazionale, sarebbe stata direttamente derivata dalla Liaoning.

Da un lato, dunque, si può fare affidamento sull’esperienza accumulata in fase di costruzione della stessa Type 001 (da considerare perciò un progetto fondamentalmente maturo) e, dall’altra, l’intenso ciclo di prove della Type 001 svoltesi tra il 2011 e il 2012 fornisce indicazioni preziose per l’avvio dei lavori sulla nuova piattaforma; avvio che, nella solita assenza d’informazioni ufficiali, viene fatto comunque risalire al 2013. Aspetto poi confermato ufficialmente da un portavoce dallo stesso Ministero della Difesa Cinese alla fine di dicembre dello stesso anno.

Sempre in tema di continuità, anche la scelta dei cantieri (e cioè gli stessi Dalian Shipbuilding Industry Company protagonisti del profondo intervento operato sulla Liaoning) risponde perfettamente allo scopo.

Provare a indicare le date essenziali di processo costruttivo comunque costantemente seguito attraverso immagini varie (satellitari e di qualche “spotter”) sarebbe un’attività inutile perché i riferimenti sono praticamente nulli; l’unico altro momento importante a oggi è stato proprio quello del 26 aprile scorso quando, dopo l’allagamento del bacino nel quale si trovava, la nuova portaerei è stata portata in condizioni di galleggiamento.

In quel momento, la CV-17 Shandong Type 001A (con la «A» ovviamente aggiunta per rimarcare le differenze), ha svelato un altro dettaglio importante, peraltro già ampiamente anticipato; l’avanzato stato dei lavori. Un dettaglio che fa propendere per un rapido inizio delle prove in mare, in vista di una consegna alla PLAN che potrebbe giungere intorno al 2019.

Particolarmente difficile si presenta poi l’analisi tecnica della piattaforma e dei suoi sistemi; al netto di quanto direttamente visibile e delle scarne indiscrezioni, molti sono i particolari non noti.

Ciò detto, un quadro di massima ma al tempo stesso sufficiente per definire alcuni aspetti essenziali pare possibile comunque “dipingerlo”.

Da un punto di vista dimensionale, la Shandong si presenta con una lunghezza (stimata, così come del resto accade per diversi altri elementi) di circa 315 metri e una larghezza massima di almeno 75 metri. Qualora confermati, questi dati confermerebbero la crescita (ancorché modesta) in termini di dimensioni rispetto alla Liaoning; elemento che troverebbe conferma anche dal confronto dei valori relativi al dislocamento a pieno carico: 65.000 tonnellate (secondo alcune fonti, 70.000) per la Type 001A, contro le 59.000 circa della Type 001.

Almeno nella sua configurazione, non si registrano novità sul fronte dell’apparato propulsivo: 8 caldaie destinate a produrre il vapore impiegato da 4 gruppi turbo-riduttori (su altrettanti assi) per la propulsione della nave e, almeno in parte, per la produzione di energia elettrica (comunque affiancati da alcuni diesel alternatori). La potenza totale installata dovrebbe dunque essere rimasta intorno ai 200.000 HP che, a fronte dell’aumento del dislocamento dovrebbe restituire valori in leggera in diminuzione in quanto a velocità massima, indicata intorno ai 31 nodi.

È poi opinione diffusa che anche i valori dell’autonomia presentino delle differenze tra la Liaoning e la Shandong; questa volta a favore della seconda; per effetto di una serie di modifiche interne, infatti, sarebbe stato ottenuto un aumento del combustibile imbarcato, consentendo di superare le 4.400 miglia di autonomia che si stimano per la Liaoning stessa (ottenuti ad andature non meglio precisate, da alcuni indicate come prossime a quella massima).

Molto più di sostanza le altre modifiche apportate; la prima, e più visibile delle quali è l’aumento della superficie del ponte di volo, un aumento a cui contribuisce non tanto e non solo l’incremento delle dimensioni della piattaforma quanto, piuttosto, una serie di interventi mirati. In primo luogo, si registra un’evidente diminuzione in lunghezza per circa 5 metri dell’isola; accompagnata a sua volta da un più modesto intervento sulla larghezza.

In secondo, l’eliminazione degli impianti CIWS (Close-In Weapon System) Type 1130 sistemati a poppa ha consentito di guadagnare ulteriore spazio; e infine, quale ultimo contributo in questo senso, anche una più efficiente sistemazione di altri sistemi/apparati. Le varie stime indicano in 14,700 m² la superficie del ponte di volo della Type 001; dunque, la 001A presentando valori maggiori, sarà in grado di gestire un maggior numero (e con più efficienza) di velivoli su di esso parcheggiati.

Un aspetto importante perché, combinato con le maggiori dimensioni anche dell’hangar (influenzate da alcuni interventi già visti come la rimozione dei Type 1130 e da altre modifiche interne), consente alla Shandong di imbarcare un gruppo di volo più consistente rispetto alla Liaoning.

Su quest’ultima infatti, il reparto di volo teoricamente presente a bordo sarebbe di 24 velivoli multiruolo Shenyang J-15 Flying Shark (versione locale del Sukhoi SU-33) e una decina di elicotteri di vario tipo, aventi a diposizione altrettanti “landing spot”. In particolare, si può trattare di Changhe Z-18, nelle versioni -J con funzioni AEW (Airborne Early Warning), e -F in configurazione ASW (Anti-Submarine Warfare); a questi si possono aggiungere alcuni Harbin Z-9 con compiti “utility” e SAR (Search And Rescue). In alternativa agli Z-18, infine, dei Kamov KA-31 AEW e Ka-29 con compiti ASW.

Ora, al netto delle difficoltà tecnico-costruttive che l’industria Cinese sta incontrando nella realizzazione del J-15 (e dei suoi motori) e che ne stanno limitando l’ingresso in servizio, dalle prime sommarie indiscrezioni pare che la gestione di un tale numero di velivoli non sia così agevole per la Liaoning.

Invece, il combinato disposto delle modifiche poco sopra evidenziate, fa sì che sulla Shandong si dovrebbe poter imbarcare un gruppo di volo composto da 26/28 bireattori J-15; e, al tempo stesso, anche il numero dei velivoli ad ala rotante dispiegabili dovrebbe salire a 12 (almeno 4 dei quali con funzioni AEW).

Ma l’analisi degli aspetti più propriamente aeronautici non termina qui; anzi, prosegue facendo nuovamente riferimento alle caratteristiche complessive del ponte di volo.

Per quanto non accennato in precedenza perché considerato quasi scontato, è comunque giusto ricordare la particolare configurazione di entrambe queste portaerei; configurazione nota come STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery).

In pratica, i velivoli (ad ala fissa) effettuano un decollo corto sfruttando lo ski-jump posto a prua (con 2 corse di decollo di lunghezza ridotta e un’altra più lunga, tutte corredate di deflettori del flusso dei motori), mentre gli atterraggi avvengono su di un ponte di volo angolato dotato di cavi di arresto. Anche in questo caso, a fronte di una configurazione generale per l’appunto simile (come, ad esempio, la disposizione dei 2 elevatori posti sul lato di dritta delle navi), una differenza rilevante si riscontra sull’inclinazione dello ski-jump; sulla Shandong infatti, essa scende a 12° contro i 14° della Liaoning.

Appare infine perfino superfluo ricordare come su tutte e 2 le unità cinesi siano scomparsi le 2 file di 6 lanciatori verticali, posizionati in prossimità dello ski-jump stesso, per altrettanti (mastodontici) missili antinave P-700 Granit; laddove, ovviamente, tale modifica ha consentito di guadagnare diverso spazio utile.

E’ infine da rilevare inoltre che diverse fonti danno per certo che, oltre all’hangar, anche i depositi carburante/munizioni nonché diversi spazi tecnici e abitativi siano stati oggetto di una complessiva rivisitazione al fine di ottenere maggiori capacità ma anche migliori condizioni di vita a bordo. A tal proposito, e a fronte della solita assenza di dati certi, viene come spontaneo ipotizzare una consistenza dell’equipaggio e dei gruppi di volo paragonabile fra le 2 Type 001; per la prima si prospettano infatti circa 1.960 uomini per le esigenze della nave, circa 630 uomini per quelle dei velivoli e, infine, una quarantina per lo staff di comando. Un totale dunque di poco più di 2.600 uomini per la Liaoning che però, in virtù di una dotazione di velivoli più consistente per la Shandong, potrebbe farne salire il numero degli uomini di equipaggio e, soprattutto, per quelli dei reparti di volo.

Novità sostanziali anche sul fronte dei sensori. Sulla Type 001A trova infatti posto sull’isola ridisegnata il potente e avanzato apparato radar Type 346, noto come “Star of the sea” secondo la denominazione cinese o “Dragon Eye” nella classificazione NATO e già installato sui cacciatorpediniere Type 052C e D. Si tratta di un sensore del tipo Active Electronically Scanned Array (AESA) a 4 facce fisse, multi-banda e multifunzione ma con un ruolo prevalente nella scoperta aerea. Ad affiancarlo, un radar per la scoperta aerea/di superficie Type 382 (versione cinese dello MR-710 Fregat di origine russa); a questi si aggiungeranno, non ancora meglio definiti, anche radar per la navigazione e altri ancora per la gestione del traffico aereo.

Si ricorda infine che le originali unità della classe Kuznetsov (in teoria dunque, anche quella ex-Varyag che poi diventerà Liaoning) disponevano nella propria dotazione di sensori anche di un sonar a scafo; operante a bassa e media frequenza e impiegato per le funzioni di ricerca/attacco. A tal proposito, si deve notare come non vi siano indicazioni certe circa il fatto che un qualche apparato del genere sia installato sulle unità cinesi e, eventualmente, di che tipo; anche se (per ovvie ed evidenti ragioni), una sua presenza può anche essere data per certa.

Anche sul fronte dei sistemi di difesa imbarcati non mancano certo elementi di incertezza; l’unico dato da considerarsi come acquisito definitivamente è rappresentato dalla presenza di 4 lanciatori a 18 celle (qui, forse, nella versione a 24 celle?) del sistema di difesa di punto HQ-10, altrimenti noto come FL-3000N. Come detto poi, i 3 Type 1130 presenti sono stati sbarcati; una scelta per certi versi singolare visto che questo CIWS dotato di un cannone a 11 canne rotanti da 30 mm sta diventando dotazione standard sulle maggiori unità combattenti della PLAN. Da verificare poi in una fase successiva anche l’eventuale conferma sia dei 2 lanciarazzi Type 75 in funzione ASW, sia dei 4 lanciatori per esche/inganni Type 726/4; tutti presenti sulla Liaoning e rispetto ai quali sarà necessario verificare, nel corso delle fasi di completamento della Shandong, una loro eventuale installazione.

Un’ultima questione da affrontare è rappresentata da quale sarà la base finale di destinazione e, dato ben più pregnante, la flotta di destinazione una volta raggiunta la piena operatività; la risposta non è semplice, anche se le ipotesi più probabili è che la CV-17 possa essere assegnata alla South Sea Fleet (presso la quale già opera peraltro la Liaoning) o alla East Sea Fleet. Più difficile invece che possa raggiungere la North Sea Fleet.

Il futuro

E se fino a questo punto dell’analisi non sono mancati i punti interrogativi e le questioni non chiarite, ancora più complesso si rivela il tentativo di sviluppare un ragionamento sulle possibili linee di evoluzione futura della PLAN in fatto di portaerei.

L’unico dato certo è che la stessa Marina Cinese punta, con decisione, alla costruzione e allo sviluppo di nuove piattaforme. Quando però si parla di numeri, e tempistiche e caratteristiche le cose si complicano.

Ufficiosamente, è stato fatto trapelare che l’obiettivo più prossimo è schierare 3 portaerei, con un limite temporale fissato intorno al 2025; tuttavia, appare molto più probabile che tale numero possa salire a 4, con lo scopo di allestire altrettanti gruppi di battaglia formati dai futuri cacciatorpediniere Type 055 nonché dagli attuali Type 052 D o C, fregate della classe Type 054B e SSN Type 093 (o Type 095 quando entreranno in servizio).

Il punto però veramente complicato è rappresentato dalla comprensione di quali saranno le loro reali caratteristiche. Su questo aspetto, potendosi basare solo su indiscrezioni e ipotesi, alla fine a scontrarsi sono “linee di pensiero” diverse.

Alcuni ritengono infatti che sarebbe prossima (sugli stessi scali della Dalian Shipbuilding Industry Company che hanno ospitato la Type 001A) l’impostazione di una unità quasi gemella; cioè con minime modifiche. Considerando che presso i cantieri Jiangnan Shipyard a Shanghai è ormai dato per certo l’avvio della costruzione fin dal febbraio/marzo 2016 della prima delle 2 nuove portaerei Type 002, il quadro potrebbe dirsi ricostruito per intero. Con 2 coppie di unità omogenee in servizio (Type 001A e 002, per l’appunto) e con la Type 001 Liaoning successivamente relegata a compiti di seconda linea, più incentrati sull’addestramento.

In realtà, questo schema non appare così sicuro; non solo perché mancano ancora conferme certe sull’impostazione di una seconda Type 001A, quanto (piuttosto) perché sarebbe un percorso poco razionale. Sul piatto della metaforica bilancia va infatti messa la questione della configurazione, ovvero la modalità con la quale operano i velivoli ad ala fissa imbarcati.

Per essere ancora più chiari, il problema è rappresentato dai limiti insiti nel concetto STOBAR. L’assenza di una catapulta che assiste il decollo degli aerei condanna questi ultimi a una scelta; carico bellico elevato ma carico di carburante ridotto (quindi, scarsa autonomia) oppure maggiore quantità di carburante ma minor carico bellico (e quindi, scarsa efficacia). In tutto questo, l’impossibilità poi di far decollare comunque determinati velivoli; in particolare quelli a elica, con un’ancora più specifico riferimento a eventuali aerei destinati alle missioni di AEW.

L’unica risposta a tutte queste esigenze operative diventa perciò quella di installare delle catapulte, per passare dunque a piattaforme configurate come CATOBAR. Tema che ci consente di tornare alla questione delle Type 002, per le quali viene già data per certa una scelta in questo senso; ecco dunque che si farebbe fatica a capire l’eventuale insistenza su un’altra Type 001A invece di destinare tutte le risorse e le attenzioni (fin da subito) su navi complessivamente più capaci. Perché per quanto ci si debba affidare ancora a una certa dose di fantasia, le Type 002 sembrano proprio avere tutti i crismi del grande “balzo in avanti”: 75.000/80.000 tonnellate di dislocamento, questo è infatti l’unico dato a oggi più ricorrente.

Sarà anche l’unico elemento disponibile ma è evidente che, anche così solitario, esso ci restituisce comunque un dato di notevole importanza, rappresentato dal fatto che una piattaforma del genere si avvicina (o si avvicinerebbe…) alle dimensioni delle grandi portaerei nucleari americane. Al punto che, c’è anche chi ipotizza che sulle stesse Type 002 potrebbe già trovare posto un impianto di propulsione nucleare; le prime CVN cinesi, con Pechino che entrerebbe così a far parte di questo “club” molto ristretto!

In realtà, una simile scelta appare a oggi piuttosto discutibile, al pari di un altro elemento qualificante; quello delle più volte ricordate catapulte. Questo perché, probabilmente anche in maniera interessata, alcune fonti cinesi hanno fatto trapelare l’indiscrezione secondo la quale ne sarebbero installate 3 e, questione ancora più importante, di tipo elettromagnetico.

Anche in questo caso, difficile dare credito a una simile ipotesi; nonostante vi siano indiscrezioni di intense prove presso installazioni a terra. Di conseguenza, e in conclusione, la soluzione più logica (anche nel solco di una sorta di sviluppo a spirale) sembrerebbe rappresentato da un’evoluzione più graduale; quindi Type 002 con sistema di propulsione convenzionale e catapulte a vapore. Fermo restando che, non facendo difetto le capacità e la determinazione, chissà che tali previsioni non siano destinate a essere rapidamente smentite.

Laddove si deve anche ricordare, più per dovere di cronaca che non altro, che già si “fantastica” di una futura Type 003; una piattaforma da 110.000 tonnellate di dislocamento che (a quel punto) incorporerebbe tutte le caratteristiche tipiche di una moderna “super carrier” e, di fatto, si porrebbe al livello delle unità americane; cioè quello che è a tutti gli effetti, un vero e proprio punto di riferimento per la PLAN.

Dunque, il secondo schema possibile potrebbe prevedere le 2 Type 001 (Liaoning e Shandong) mantenute entrambe in servizio, in modo da essere affiancate quanto prima dalla coppia di Type 002. Banalmente parlando però, solo l’arrivo di immagini “rubate” prima e di unità in mare dopo saranno in grado di chiarire (o meno) dubbi o perplessità sulle nuove unità in costruzione.

Considerazione ugualmente valida anche quando si vanno ad analizzare le indiscrezioni circolanti circa la possibilità che, in un futuro prossimo, gli stessi velivoli J-15 (oggi “spina dorsale” della componente aera imbarcata della PLAN) possano essere sostituiti dal nuovo Shenyang J-31 “stealth”, sviluppato in un’apposita versione.

Nel frattempo, e in attesa degli sviluppi futuri, ogni residuo dubbio su quale sia il protagonista assoluto nella regione è fugato; l’unico “competitor” dell’area con una qualche velleità (e con rapporti non proprio idilliaci con Pechino), cioè l’India, vede gradualmente ma costantemente aumentare il proprio divario con la Marina Cinese. Fermo restando che, anche al netto di normali relazioni tra Cina e Russia, anche quest’ultima in ultima istanza vede comunque ridimensionarsi il proprio ruolo nell’area.

Di conseguenza, una volta esaurita la “pratica” a livello regionale, il passo successivo non può che essere rappresentato da un ingresso “in grande stile” sulla scena globale. E quale miglior biglietto da visita in questo senso se non esibire un buon numero di portaerei?


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 9 luglio 2017, 16:46

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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 9 gennaio 2018, 1:09

Occhidellaguerra.it ha scritto:
La Cina conferma i lavori sulla terza portaerei

La Cina conferma i lavori sulla terza portaerei. Lo scafo del terzo vettore Tipo 003, attualmente in costruzione nei cantieri di Jiangnan Changxingdao nell’area di Shanghai, sarà completato per il 2020. Entro il 2030 saranno quattro le portaerei in servizio con la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione. Per il 2049, la Cina stima una forza attiva di dieci portaerei.

La prima portaerei della Cina

La portaerei Liaoning è il secondo vettore della classe Admiral Kuznetsov che risale all’era sovietica. Anche se la sua capacità complessiva è ostacolata dalla sua centrale elettrica relativamente inefficiente e dal sistema di lancio (ski jump a differenza delle catapulte a vapore), il vettore rappresenta un passo importante nel promuovere la capacità di proiezione globale della Cina. Entrata ufficialmente in servizio con l’Esercito Popolare di Liberazione nel novembre dello scorso anno, la portaerei da 60mila tonnellate acquistata dall’Ucraina nel 1998 è stata totalmente rivista e modernizzata. L’autonomia della Liaoning è stimata in 45 giorni di navigazione, pari a settemila chilometri al massimo della velocità consentita, circa 32 nodi (secondo la stima del Pentagono non dovrebbe superare i venti). La Marina Militare cinese conferma un gruppo di volo standard formato da venti caccia imbarcati Shenyang J-15 e dodici piattaforme a rotore Changhe Z-18J (AEW) e Z-18F (ASW). Le limitazioni fisiche ed operative della Liaoning indicano che potrebbe essere più adatta per svolgere missioni regionali, ma rappresenta un simbolo. Per raggiungere un livello di operazioni globali paragonabile a quella della Marina americana, la Cina avrà bisogno di decenni di esperienza.

La seconda portaerei cinese

Ufficialmente presentata il 23 aprile scorso durante le cerimonie per il 68esimo anniversario della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione, la portaerei cinese Shandong è stata realizzata nel cantiere di Dailian, nel nord della Cina. Il secondo vettore Tipo 001A (CV-17), è stato interamente costruito in Cina ottimizzando il disegno della Liaoning. Il viaggio inaugurale nel Mar di Bohai è previsto per la fine di febbraio, dopo i festeggiamenti per il capodanno lunare (Lunar New Year). I test in mare continueranno per l’intero anno in corso con primo pattugliamento operativo tra il 2019 ed il 2020. La Shandong ha un dislocamento di 65mila tonnellate ed un sistema di alimentazione convenzionale (caldaie a gasolio e turbine a vapore) con un’autonomia di settemila chilometri a 32 nodi. La Shandong trasporterà fino a 24 caccia Shenyang J-15 che decolleranno dal medesimo ponte STOBAR della Liaoning appartenente alla classe Admiral Kuznetsov. Sebbene efficace, il lancio STOBAR non è paragonabile al CATOBAR o Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery, decollo assistito da catapulta ma recupero arrestato presente sulle Nimitz statunitensi. Un vettore CATOBAR è in grado di lanciare velivoli dotati di maggior carburante e carico utile. I principali sistemi come la propulsione, l’elettronica e l’armamento sono stati realizzati in Cina. Il vettore è equipaggiato con quattro batterie di difesa HQ-10. Una delle principali differenze tra le portaerei Liaoning e Shandong è il design a misura di uomo: il secondo vettore presenta ambienti più confortevoli e moderni per il personale imbarcato. La portaerei Liaoning è stata progettata per testare l’affidabilità e la compatibilità dei sistemi indigeni e per la formazione del personale. Il secondo vettore sarà a tutti gli effetti una piattaforma da battaglia che contribuirà alla difesa degli interessi nazionali.

La terza portaerei cinese

Scarse le informazioni diramate dal governo cinese. Il vettore Tipo 002 (CV-18) dovrebbe avere un dislocamento da 80 mila tonnellate, il doppio della Charles de Gaulle da 42,500 tonnellate e 15 mila tonnellate in più delle classi Queen Elizabeth ed Admiral Kuznetsov. La CV-18 sarà configurata per ospitare le catapulte a vapore ed elettromagnetiche. Sulla catapulta elettromagnetica non è necessaria alcuna riconfigurazione, diversamente da quanto avviene oggi per quelle a vapore che presentano dei limiti in base alla massa dei velivoli lanciati. Il sistema di lancio elettromagnetico consente flessibilità d’impiego per una varietà di piattaforme che possono decollare dal vettore a pieno carico. Presso la Huangdicun Airbase, i cinesi continuano a testare le piattaforme J-15 sia sulle catapulte a vapore che su quelle elettromagnetiche. Sono gli stessi analisti cinesi sulle agenzie di stampa del paese, a giustificare l’esigenza di una terza portaerei per garantire i pattugliamenti armati a lungo raggio e per le missioni umanitarie. Fin dal 2013, le China Shipbuilding Industry hanno avviato gli studi per la propulsione nucleare sui vettori sfruttando il know-how acquisito con i sottomarini classe Han. L’energia nucleare conferisce al vettore la capacità di navigare per mesi senza i vincoli di logistica ed approvvigionamento del combustibile. Un vettore a propulsione nucleare sarebbe in grado di proiettare la potenza cinese al di là delle proprie acque territoriali, garantendo flessibilità senza precedenti. La Cina ha già confermato che il terzo vettore Tipo 002 avrà una propulsione convenzionale.

L’importanze della tecnologia elettromagnetica

Le catapulte convenzionali sfruttano la pressione del vapore per lanciare il gruppo aereo imbarcato sulle portaerei. Per raggiungere l’efficienza energetica e concentrare la pressione ottimale per lanciare in sicurezza un velivolo, è necessario del tempo che limita inevitabilmente i tassi di sortita. Solitamente, una catapulta convenzionale necessita di 610 kg di vapore per lanciare un velivolo. L’Electro-Magnetic Aircraft Launch System, sfrutta la forza elettromagnetica combinata alla spinta dei motori dell’aereo ed alla velocità del vento. Sulla catapulta elettromagnetica non è necessaria alcuna riconfigurazione, diversamente da quanto avviene oggi per quelle a vapore che presentano dei limiti in base alla massa dei velivoli lanciati. Il sistema di lancio elettromagnetico consente flessibilità d’impiego per una varietà di piattaforme che possono decollare dal vettore a pieno carico. L’uso di una forza più costante e regolabile, infine, riduce lo stress sulla struttura degli aeromobili, poiché l’energia cinetica del velivolo in atterraggio è controllata da un motore elettrico. Nella tecnologia elettromagnetica, i quattro alternatori sviluppano il 29 per cento in più di energia, circa 121 megajoule, rispetto ai 95 megajoule della catapulta a vapore. I lanciatori EMALS e l’Advanced Arresting Gear sono stati sviluppati dagli Stati Uniti per le nuove portaerei classe Gerald R. Ford.

L’Advanced Arresting Gear sostituirà l’attuale sistema di arresto idraulico utilizzato sulle portaerei degli Stati Uniti. Il sistema AAG è stato progettato per una più ampia gamma di velivoli tra cui gli UCAV. Il sistema elettrico prevede la decelerazione degli aeromobili durante le operazioni di recupero sulle portaerei, fornendo margini di affidabilità e sicurezza superiori rispetto agli attuali asset convenzionali. L’Advanced Arresting Gear utilizza semplici turbine ad assorbimento di energia accoppiate ad un motore a induzione per controllare con precisone le forze di arresto.

La quarta portaerei cinese

Entro il 2025 la Cina dovrebbe essere in grado di mettere in produzione la sua quarta portaerei Tipo 003 da centomila tonnellate, la prima a propulsione nucleare. Il primo pattugliamento operativo è previsto tra il 2028/2030.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 19 febbraio 2018, 3:22

Analisidifesa.it ha scritto:
Sette nuove basi cinesi negli arcipelaghi del Mar Cinese meridionale

Pechino ha costruito in maniera unilaterale sette nuove basi negli arcipelaghi contesi del Mar Cinese Meridionale. Lo ha reso noto l’ammiraglio Harry Harris (nella foto sotto), a capo del Comando dell’Us Navy nel Pacifico, manifestando preoccupazione per la crescente potenza militare della Cina nella regione: “Pechino tenta di affermare una sovranità de facto sulle aree marittime contese, militarizzando ulteriormente le sue basi artificiali”.

In un’udienza del Comitato per i servizi armati del Congresso Usa, Harris ha riferito che le nuove strutture includono “hangar per aeromobili, caserme, strumentazioni radar, postazioni armate e piste di atterraggio lunghe 3 chilometri”, idonee quindi ai cargo militari e ai velivoli da combattimento.

Sfruttando alcune ambiguità del diritto internazionale, Pechino rivendica una fetta consistente di quell’area marittima e degli arcipelaghi che la compongono incluse le isole Spratly e Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia. Per garantirsi il controllo delle importanti rotte marittime che attraversano queste acque (più di un terzo del mercato globale), il governo cinese ha avviato la costruzione di una serie di isole artificiali, con impianti militari e fari.

Harris definisce le rivendicazioni territoriali di Pechino “coordinate, metodiche e strategiche” e accusa il governo cinese di “usare il potere militare ed economico per erodere il libero e aperto ordine internazionale”. Per contrastare le mire espansionistiche della Cina, gli Usa contano sugli storici alleati della regione.

L’ammiraglio afferma che l’alleanza con il Giappone “non è mai stata più forte” e che quella con la Corea del Sud è “corazzata”. Harris, destinato a diventare il prossimo ambasciatore degli Stati Uniti in Australia, ha elogiato anche l’alleanza tra Washington e Canberra, dichiarando che l’Australia è “una delle chiavi per un ordine internazionale basato sulle regole”.

Anche Londra ha deciso di inviare nella regione una nave da guerra che salperà dall’Australia il mese prossimo e attraverserà il Mar Cinese meridionale, per affermare i diritti sulla libertà di navigazione nelle acque al centro di una disputa internazionale che vede protagonista la Cina, come ha affermato Gavin Williamson, ministro della Difesa britannico.

Williamson ha confermato che l’HMS Sutherland (fregata Type 23), arriverà in Australia alla fine di questa settimana.

“Navigherà attraverso il Mar Cinese meridionale (sulla via di ritorno) e chiarirà che la nostra marina ha il diritto di farlo”, ha detto al termine di una visita di due giorni a Sydney e Canberra (nella foto sotto).

Williamson non ha chiarito se la fregata farà rotta entro le 12 miglia nautiche da un territorio conteso o un’isola artificiale costruita dai cinesi, come in passato hanno fatto navi statunitensi, ma riferisce: “Il Regno unito sostiene in modo fermo l’approccio statunitense al riguardo”.

A gennaio Pechino ha dichiarato di aver inviato una nave da guerra per cacciare un cacciatorpediniere americano che aveva “violato” la sua sovranità. Secondo Williamson, è importante che alleati degli Stati Uniti come la Gran Bretagna e l’Australia “affermino i propri valori” nel Mar Cinese meridionale.

Williamson ha ribadito la necessità di vigilare su “qualsiasi forma di intento maligno” di Pechino, che cerca di diventare una superpotenza globale.

“L’Australia e la Gran Bretagna vedono la Cina come un Paese di grandi opportunità, ma non dovremmo essere ciechi di fronte alle ambizioni cinesi e dobbiamo difendere i nostri interessi di sicurezza nazionale”, ha detto.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 5 maggio 2018, 4:01

Analisidifesa.it ha scritto:
La Cina si rafforza nel Pacifico per puntare sull’Oceano Indiano

Dopo aver consolidato la sua dirigenza suprema per vari anni a venire, tramite la recente conferma a presidente di Xi Jinping senza più limiti costituzionali di mandato, la Cina può ora dedicarsi alla sua graduale, ma inesorabile strategia di proiezione aeronavale esterna.

Non solo, come parrebbe logico, sulle distese dell’Oceano Pacifico, ma anche in quell’Oceano Indiano troppo spesso dimenticato a dispetto della sua fondamentale funzione di “autostrada” delle petroliere che dal Medio Oriente si dirigono verso le grandi nazioni industrializzate dell’Asia Orientale.

E’ ben noto che da qualche anno ormai la presenza di guarnigioni e installazioni delle forze di Pechino sulle isolette dell’arcipelago conteso delle Spratly, che la Cina rivendica col nome di isole Nansha, costituisce di per sé una minaccia potenziale contro i traffici navali in transito dagli stretti della Malacca e della Sonda grazie all’espansione di Pechino in quell’area marittima comunemente nota come “Lingua di Bue” (foto sotto).

Non a caso, anche nelle ultime settimane i cinesi hanno rivendicato unilateralmente la loro sovranità su quelle acque per le quali invece gli altri paesi, in testa gli Stati Uniti d’America, ma compresi anche tutti i rivieraschi, dal Vietnam alle Filippine, parlano di libera navigazione.

Per citare solo un paio di episodi, fra il 5 e l’8 marzo 2018 il governo cinese ha vigilato sull’ennesima puntata della portaerei americana Carl Vinson nel Mar Cinese Meridionale, culminata con l’attracco in Vietnam, a Da Nang, per quella che è stata la prima visita di una “carrier” della US Navy nel paese dove si consumò negli anni Sessanta e Settanta la lunga guerra infine persa dagli americani. In quella occasione, la reazione di Pechino è stata ambivalente. Dalle colonne del giornale Global Times, vicino al partito comunista, sono risuonati toni relativamente diplomatici: “L’attenzione e l’infelicità della Cina sono inevitabili, ma non pensiamo che il viaggio della Carl Vinson in Vietnam possa sollevare problemi nel Mar Cinese Meridionale”.

Più diretto è stato però il ministro degli Esteri Wang Yi, che l’8 marzo, difendendo l’occupazione delle isole come un fattore positivo e stabilizzante: “Il principale problema è che certe forze esterne sono scontente del fatto che la situazione nella regione sia migliorata. Essi stanno facendo provocazioni, tentando di fomentare caos e inviando un’unità pesantemente armata nel Mar Cinese Meridionale in una dimostrazione di forza”.

Ancor più decisa è stata la reazione cinese alle manovre, fra il 23 e il 24 marzo scorsi, effettuate dal cacciatorpediniere lanciamissili americano Mustin, un’unità classe Arleigh Burke, proprio nel bel mezzo delle Spratly, tanto da avvicinarsi fino al limite delle 12 miglia nautiche dalle sponde di Mischief Reef, uno degli isolotti in questione, su cui i cinesi hanno installato unità contraeree fra cui pare cannoni automatici a canne rotanti, secondo il sistema Gatling, e asserviti ai radar del tipo CIWS (Close-in Weapon Systems) adatti a bersagliare con una nuvola di proiettili qualsiasi aeroplano e anche missile da crociera avversario eventualmente captato in arrivo a bassa quota, e specialmente a volo radente.

In tal caso, il ministero degli Esteri di Pechino è stato assai duro, chiedendo la fine di “azioni di provocazione che violano la sovranità della Repubblica Popolare e pongono una seria minaccia alla sua sicurezza, minando la pace regionale e la stabilità”. La flotta cinese ha anche spedito alcune fregate a mostrare i muscoli di fronte al Mustin, che non si è fatto però intimorire, mentre anche il ministero della Difesa cinese rincarava: “E’ una seria provocazione militare e politica”.

Le porte del petrolio asiatico

Col solito gioco a rimpiattino con gli americani, nelle scorse settimane la Marina Popolare Cinese ha ribadito una volta di più la sua capacità potenziale di dar battaglia per difendere le posizioni negli arcipelaghi contesi dispiegando nella zona una squadra navale la cui possanza è stata definita da molti esperti inconsueta, vistasi di rado per gli standard della marina di Pechino.

Era il 27 marzo scorso quando nelle acque delle Spratly hanno incrociato ben 40 navi, fra incrociatori, cacciatorpediniere, sottomarini e unità d’appoggio, a fare corona attorno alla portaerei Liaoning, l’orgoglio della flotta di Pechino alla quale si vogliono far seguire altre tre unità porta aeromobili entro i prossimi sette-otto anni.

La grossa formazione proveniva da Nordest, dallo Stretto di Taiwan, dove si era ingrossata con una squadra proveniente dalla base settentrionale di Dalian, ex-Dairen, sul Mar Giallo, ed era la risposta più appariscente che la Cina potesse dare alle crociere di unità americane nelle isole del Sud. Un paio di settimane dopo, il 9 aprile, il Ministero della Difesa cinese ha annunciato che nelle Spratly, ma senza rivelare l’ubicazione precisa, sono state installati apparati di disturbo elettronico, “jamming” per rafforzare le difese locali, specialmente allo scopo di confondere e deviare eventuali futuri missili avversari.

E l’indomani, 10 aprile 2018, il portavoce del Ministero della Difesa Ren Guoqiang ha espressamente rivendicato la sovranità sulle Spratly, spiegando: “Il dispiegamento del necessario equipaggiamento militare in queste isole è nel diritto naturale di uno stato sovrano.

E’ negli interessi del proteggere la sua sovranità e sicurezza, negli interessi dell’assicurare libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale, così come dell’assicurare pace regionale e stabilità. E non è diretto contro alcun paese”. Ovviamente il funzionario governativo cinese intendeva per “sicurezza” quella alle condizioni dettate dalla Cina, diversa dall’accezione che le danno gli americani e i loro alleati.

Perché i cinesi tengano in così gran conto le Spratly, più le vicine Paracel, è facilmente intuibile osservando una carta geografica della regione. Queste preziose basi d’appoggio si trovano a poche ore di volo da due fra i maggiori punti di passaggio tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, ovvero lo stretto della Malacca, separato dalle isole in questione da una rotta di circa 1300 chilometri, e lo stretto della Sonda, posto a circa 1900.

Ma anche la maggior parte della cintura delle isole della Sonda, più a Sud e Sudest, compreso un altro importante stretto come quello di Lombok, è posta entro un raggio di circa 2300 chilometri dalle basi cinesi, da cui formazioni di bombardieri possono decollare e sorvolare territori intermedi relativamente privi di difese aeree avanzate, ossia specialmente le grandi isole del Borneo e di Celebes.

Il dispositivo cinese nella “lingua di bue”

Aerei d’attacco cinesi possono quindi, dalle Spratly/Nansha, arrivare fin sopra il Mare di Timor e minacciare il traffico navale lungo tutto l’arco dalla Malacca fino all’estremità settentrionale dell’Australia.

E senza dimenticare che le stesse isole in questione possono fare da trampolino per navi e soprattutto sottomarini, parimenti minacciosi nel dedalo indonesiano, poco presidiato dalle forze americane, rispetto ai più ingenti apprestamenti presso gli alleati asiatici più settentrionali. In caso di una estesa guerra della Cina contro i suoi vicini, si realizzerebbe plausibilmente un corrispettivo orientale, fatte le debite proporzioni, con il blocco del canale di Suez a seguito della guerra del Kippur dell’ottobre 1973, che contribuì alla crisi petrolifera e alla successiva “austerity” che colpì l’Europa Occidentale alla fine di quell’anno e fino a buona parte del 1974.

In quel caso le petroliere provenienti dall’Oceano Indiano, e soprattutto dal Golfo Persico, dovettero evitare la comoda scorciatoia del Mar Rosso e mettersi ad aggirare l’immensità dell’Africa, con tempi molto più lunghi di transito. Nel caso di una campagna aeronavale cinese in questa regione, il passaggio delle petroliere potrebbe diventare pure così rischioso da costringerle a privilegiare un ampio giro nelle acque aperte al largo dell’Australia, da Sud, risalendo poi dal Mare di Tasmania verso Taiwan, Giappone e Corea del Sud. Ma anche in quel caso potrebbero incappare in qualcuno dei sottomarini cinesi avventuratisi più lontano.

L’abbondanza di punti di appoggio nelle isole sopraccitate è ormai tale che una campagna di blocco antinave da parte dei cinesi nella regione del Sudest asiatico può considerarsi certa nel caso di un conflitto di grosse proporzioni. E non è un caso che nel marzo 2015 l’ammiraglio americano Harry Harris, allora comandante in capo della Flotta del Pacifico della US Navy, abbia parlato di una “Grande Muraglia di sabbia”, per mettere in guardia Washington circa l’importanza strategica di questo nugolo di atolli, sabbiosi appunto, per assicurare alla Cina la potenziale supremazia locale in scontri per il controllo degli accessi all’Oceano Indiano.

Ciò è particolarmente importante in fatto di aviazione, date le numerose basi avanzate con piste di grandi dimensioni. Nelle più settentrionali Paracel, sull’isola Woody, spicca una pista in cemento lunga 2700 metri, abbastanza sicuramente per i caccia monoposto e la cui difesa è affidata a batterie di missili antiaerei HQ-9 (copia degli S-300 russi) su rampa mobile autocarrata, ordigni a due stadi accreditati di un raggio d’azione massimo di 200 km e una quota massima letale di 27.000 metri.

Ma le installazioni più importanti sono quelle sulla Fiery Cross, una delle maggiori isole delle Spratly. Dopo un’avventurosa opera di costruzione protrattasi per tutto il 2014 e 2015, con tanto di dragaggio dal fondo marino della sabbia e del pietrisco necessari ad aumentare la superficie dell’atollo e compattarne i fondi edificabili, dal 2016 è stata dichiarata completa la grande pista da 3125 metri su cui si sono già posati alcuni aerei per collaudo. Gli hangar osservati dalla ricognizione aerea e satellitare sarebbero in grado di ospitare fino a 24 aeroplani da combattimento, più almeno quattro trasporti di grosse dimensioni.

La base di Fiery Cross dispone di nutrite difese antiaeree, con relativi radar di asservimento, tra cui batterie di missili HQ-9 i cui veicoli sarebbero normalmente ricoverati in 12 rifugi corazzati dal tetto mobile. Poiché ogni autocarro, Taian da 8 ruote motrici, porta 4 missili pronti al lancio, la difesa missilistica antiaerea della base di Fiery Cross dovrebbe contare su almeno 48 razzi HQ-9 di impiego immediato, senza contare le prevedibili ricariche.

Parte cospicua dell’ombrello sono inoltre varie postazioni CIWS forti di cannoni automatici modello Type 730, con 7 canne rotanti in calibro 30 mm capaci di eruttare un volume di fuoco di 5800 colpi al minuto con un raggio d’azione massimo di 4,8 km. Meno note di Fiery Cross sono altre basi insulari nelle Spratly, come quella sull’atollo di Mischief Reef, già brevemente da noi citata. Dopo aver aumentato artificialmente la superficie dell’atollo oltre i 500 ettari, i cinesi vi hanno realizzato un porto per unità navali, almeno a livello di cacciatorpediniere e incrociatori, e una pista d’aviazione da 2600 metri. C’è poi Subi Reef, atollo che originariamente aveva solo una barriera semisommersa attorno a una laguna interna. Anche in tal caso il lavoro del genio militare cinese ha aumentato e innalzato il basamento di terraferma, consentendo di costruire ancora un porto e una pista di 3000 metri.

Attacco antinave

I numerosi aeroporti avanzati sulle isole Spralty e Paracel, di cui la maggior parte con pista di lunghezza notevole, sui 3.000 metri, indicano chiaramente che un cardine della strategia cinese nella regione sarebbe l’impiego di bombardieri pesanti, per ora specialmente del tipo Xian H-6K, in attesa di un futuro successore, in funzione di velivolo antinave a lunga autonomia armato con missili da crociera.

L’H-6K rappresenta una versione ampiamente ammodernata del vecchio Xian H-6 (dove H sta per Hongzhaji, “aereo da bombardamento”) che non era altro che l’edizione cinese del sovietico Tupolev Tu-16 (detto “Badger” in codice NATO). Gli H-6 delle versioni primitive, sviluppati dai cantieri aeronautici dell’omonima città di Xian, nella provincia dello Shaanxi, come copie abbastanza fedeli del Tu-16 russo, furono consegnati alle squadriglie dell’aviazione cinese a partire dal lontano 1968 e giunsero al loro picco operativo attorno al 1990 con un numero di esemplari stimato sui 150.

Di essi ne volerebbe ancora la maggior parte, almeno un centinaio, di cui molti modificati in aerocisterne per il rifornimento in volo. L’H-6K derivato dal vecchio modello si sta rivelando, per quel poco che se ne sa, un velivolo molto diverso e assai più pericoloso. Non è certo all’avanguardia, anche perché la sagoma aerodinamica è, in fin dei conti, ancora quella del Tupolev, ma le sue prestazioni sono notevolmente migliorate, così come le attrezzature di bordo, relativamente al passo coi tempi. Si tratterebbe di velivoli di costruzione interamente nuova, un po’ riprogettata, anziché delle modifiche di esemplari preesistenti, a giudicare dal fatto che le ristrutturazioni nella fusoliera sono state molto ingenti.

Se il primo prototipo ha volato nel 2007, risale invece al 2009 l’entrata in servizio dei primi esemplari operativi. Attualmente, attorno al 2018, sebbene non si conosca esattamente il loro numero, si può ritenere che gli Xian H-6K di pronto impiego siano una ventina, o anche più, prendendo per buona una stima, forse per difetto, che ne indicava 15 esemplari attivi nel 2015.

L’H-6K è stato spesso considerato dai commentatori una specie di corrispettivo cinese, in piccolo, del Boeing B-52 americano, come utile e flessibile piattaforma di lancio per missili a grande gittata. E in effetti le migliorie rispetto ai progenitori consistono proprio nell’armamento e nell’autonomia. I progettisti dei cantieri Xian hanno eliminato la tradizionale stiva bombe interna a metà del ventre della fusoliera e hanno sfruttato lo spazio così guadagnato per ricavare serbatoi aggiuntivi di carburante. Anche le torrette difensive coi cannoni da 23 mm sono state eliminate e rimpiazzate con bulbi alloggianti sensori e antenne.

Sono stati ridisegnati il muso, a carenare un nuovo radar, e le prese d’aria dei due turboreattori, dato che gli originari motori WP-8, copie dei Mikulin sovietici, sono stati rimpiazzati dai più potenti Saturn, pure di provenienza russa. Anche a livello strutturale interno ci sono stati progressi, fra cui un esteso impiego di materiali compositi come le fibre di carbonio. Abolita la stiva ventrale, l’armamento è stato spostato interamente all’esterno, su sei piloni subalari in grado di portare altrettanti missili. Tutto ciò ha consentito di aumentare di molto il raggio d’azione del bombardiere cinese, mantenendo probabilmente inalterata la velocità massima del velivolo, comunque alto-subsonica e stimata, a seconda della quota e del carico, fra 990 e 1050 km/h, praticamente uguale a quella del B-52 statunitense. Gli H-6 “classici” hanno un’autonomia tipica di circa 4800 km, con carico moderato, e un raggio di combattimento calcolato in 1800-2000 km.

Non abbastanza per essere considerati velivoli strategici. Invece gli H-6K possono volare per almeno 7.000 km senza rifornimento in volo, forse di più, mentre il raggio d’azione è indicato in circa 3500 km. Se poi si considera che, con rifornimento in volo, il velivolo può volare anche più lontano, ben si comprende perché si dica spesso che con l’H-6K la Cina sia divenuta la terza nazione dopo Russia e America a disporre al giorno d’oggi di un bombardiere davvero strategico, poco importa se ricavato da un velivolo più vecchio.

Le prestazioni dell’H-6K indicano che, per esempio, decollando da Fiery Cross, un gruppo di tali aerei potrebbe spingersi ampiamente sull’Oceano Indiano coprendone un vasto arco. Verso Sud questi bombardieri potrebbero, ipotizzando una rotta in linea retta, avventurarsi fino a ben 2000 km al di là della cintura insulare dell’Indonesia, oltre Giava e l’arcipelago della Sonda, lambendo le acque dell’Australia.

Volando verso Sudovest, con una rotta un po’ spezzata per evitare le difese aeree del Vietnam, presumibilmente le più forti della regione, sorpasserebbero la penisola della Malacca e l’isola di Sumatra, entrando agilmente nello spazio aereo del Golfo del Bengala e spadroneggiando di sicuro al di sopra delle isole Andamane e Nicobare, fino a giungere quasi alle coste orientali dell’India e allo Sri Lanka.

Gli armamenti più minacciosi agganciati ai piloni subalari degli H-6K sarebbero missili antinave CJ-10 (CJ da Chang Jian, “lunga spada”) e YJ-12 (YJ da Ying Ji, “attacco d’aquila”). Il CJ-10 è un missile subsonico costruito in varie versioni con gittata fra 800 e 1500 km, in grado di trasportare 500 kg di esplosivo oppure una testata nucleare. Può essere impiegato anche contro bersagli terrestri, ma una specifica versione antinave è stata già collaudata con lanci dai bombardieri Xian.

Ancora più pericoloso, soprattutto per le portaerei americane, sarebbe l’YJ-12, poiché è supersonico. Nuovissimo, operativo dal 2015, tale missile potrebbe sfrecciare a Mach 2, due volte la velocità del suono, ossia almeno 2200 km/h, se lanciato a bassa quota, oppure Mach 3,5 oltre 3600 km/h, se lanciato ad alta quota. In entrambi i casi, comunque, nella fase finale dell’avvicinamento al bersaglio si abbasserebbe a soli 15 metri sopra il pelo dell’acqua eludendo fino all’ultimo minuto il rilevamento radar nemico.

L’autonomia del missile è stimata fra 200 e 380 km, i cinesi ben si guardano dal dichiarare dati precisi, ma trattandosi di un’arma lanciabile da piattaforme mobili come aeroplani a grande raggio, il divario non fa troppa differenza. L’YJ-12, peraltro, può essere trasportato anche da caccia come gli Shenyang J-11 derivati dai Sukhoi russi, che già di per sé potrebbero dalle Spratly arrivare fino alla Malacca, con un raggio d’azione di 1500 km.

Sul rapido svilupparsi, poi, delle capacità cinesi di organizzare missioni d’attacco a grande raggio, integrando i bombardieri strategici coi velivoli da caccia destinati ad assicurarne la copertura, basti ricordare, fra gli ultimi episodi, un lungo volo d’esercitazione compiuto il 21 febbraio 2018 a partire dalla provincia del Guangdong, verso Est, in pieno Pacifico, superando il canale di Bashi, il braccio di mare che separa Taiwan dalle Filippine. Si trattava di una formazione mista di bombardieri Xian H-6K e di caccia Shenyang J-11, insieme a velivoli da appoggio elettronico Shaanxi Y-8.

Una dimostrazione di profilo di missione complesso facilmente riproducibile anche più a Sud, nella regione fra le Spratly e l’Indonesia, anche perché, a maggior ragione, in questo secondo contesto è ancora più importante superare in volo una cintura di isole ancora più serrata rispetto ai più radi arcipelaghi del versante del Pacifico.

Poche settimane prima, peraltro, si erano avute anche le prime manovre operative del nuovo caccia di quinta generazione Chengdu J-20 (nella foto sopra) insieme agli H-6K, ai quali fornirebbero non solo la scorta, ma anche un rinforzo in fatto di attacco, dato che, come già più volte rilevato da vari esperti, il nuovo caccia stealth cinese, sia per la sua grande autonomia, sia per la flessibilità del suo armamento, può essere probabilmente utile anche come cacciabombardiere, operando esso stesso contro obbiettivi di superficie. Il 23 gennaio, infatti, la Min Haydui, ossia l’Aviazione dell’Armata Popolare Cinese, ha diramato che “per nove giorni” diversi J-20 hanno “simulato operazioni di combattimento aereo con H-6K”, in una zona che non è stata divulgata.

L’India “assediata”

L’ormai consistente caposaldo cinese a guardia degli ingressi del Pacifico per le navi provenienti dall’Oceano Indiano è già di suo un rompicapo per gli americani e per la stessa India, che vede con preoccupazione anzitutto la prima base militare cinese all’estero, aperta nel 2017 a Gibuti, sul Corno d’Africa, proprio a guardia dello stretto di Bab el Mandeb, fra il Golfo di Aden e il Mar Rosso. La base di Gibuti è relativamente piccola. La sua costruzione è stata completata fra 2016 e 2017, con apertura ufficiale il 1° agosto 2017. Estesa solo mezzo chilometro quadrato, conta 300 uomini ed è più che altro uno scalo navale, comunque importante perlomeno per le missioni antipirateria. E’ comunque, anche solo simbolicamente un grosso passo in avanti nell’espansione cinese lontano dalle proprie frontiere.

L’India teme soprattutto il possibile stabilirsi di basi militari navali cinesi anche in Pakistan, a Jiwani, vicino Gwadar, e perfino nell’attiguo Sri Lanka. Già il 1° novembre 2017 il ministro della Difesa indiano, Nirmala Sitharaman, chiamava a raccolta i paesi rivieraschi della porzione orientale dell’Oceano Indiano presso un forum marittimo organizzato a Goa, facendo chiaro riferimento ai cinesi, nel denunciare: “Siamo stati testimoni del fatto che nazioni estranee alla regione mantengono una presenza quasi permanente nella zona, con un pretesto o l’altro.

Per sostenere tale presenza attraverso una continua turnazione operativa, questi paesi, extraregionali, stanno creando ponti di appoggio navale così come infrastruttura a doppio uso (civile e militare).

Questa sorta di militarizzazione aumenta le complessità per i paesi della zona”. Sitharaman parlava a una platea composita che comprendeva paesi che andavano dal Bangladesh all’Indonesia, dalle Maldive alla Thailandia, fino a nazioni in effetti relativamente accondiscendenti verso la Cina, come la Birmania e quello Sri Lanka che ha concesso un porto civile ai cinesi.

L’11 dicembre 2017, infatti, il governo cingalese ha ceduto ufficialmente, per ben 99 anni stando ad accordi prefigurati nel precedente luglio, il controllo del porto commerciale di Hambantota alla società cinese, controllata dallo stato, China Merchants Port Holdings. Ciò come risultato del sostanziale capestro di un prestito da 1,3 miliardi di dollari che gli stessi cinesi avevano elargito allo Sri Lanka per iniziare la costruzione del medesimo porto nel 2010, ma che poi il governo di Colombo non è riuscito a rifondere.

Il porto è situato sull’opposto versante dell’isola di Ceylon, rispetto all’estremità meridionale dell’India, e, sebbene inteso per scopi civili, può offrire scalo anche a unità militari cinesi, tenuto conto che il proprietario ultimo delle infrastrutture è sempre il governo di Pechino.

Preoccupante per il governo di Nuova Delhi è l’accresciuta presenza dei sottomarini cinesi da attacco, che potrebbero minare in caso di guerra le rotte dell’Oceano Indiano, da cui passa più del 40 % del petrolio mondiale.

In particolare i nuovi battelli della classe Yuan, entrati in servizio a partire dal 2006 e a tutt’oggi attivi in 15 esemplari, a cui seguiranno ancora 5 unità tuttora in costruzione o impostazione nei cantieri Wuchang della città di Wuhan, nella provincia dello Hebei, che sorge sulle maestose acque del Fiume Azzurro.

I sottomarini Yuan, lunghi 77 metri e dislocanti 3600 tonnellate, hanno 6 tubi lanciasiluri e una dotazione di missili antinave non dichiarati, ma presumibilmente minacciosi. Se anche non raggiungono uno standard paragonabile a eventuali avversari americani, rispetto alle nazioni rivierasche della regione, paiono più che sufficienti. Hanno però un’autonomia relativamente limitata, essendo a propulsione diesel ed elettrica, anziché nucleare, pertanto una catena di basi fino all’Oceano Indiano è per loro provvidenziale.

Peraltro nei prossimi anni i cinesi ne venderanno otto all’alleato Pakistan, come vedremo fra breve prezioso punto di appoggio a insidiare l’India. A maggior ragione, gli indiani hanno visto talvolta introdursi nel “loro” oceano anche sottomarini cinesi a propulsione atomica classe Shang, il primo dei quali osservato far sosta nel porto pachistano di Karachi nel maggio 2016. Gli Shang, anch’essi in servizio dal 2006, sarebbero attualmente 6. Assai più grossi degli Yuan, lunghi 110 metri, dislocano fino a 7000 tonnellate e sono armati, oltre che con 6 tubi lanciasiluri, pure con missili antinave, fra cui una variante marittima del citato CJ-10 di cui sono dotati gli aerei da bombardamento.

L’Esercitazioni anti-cinesi

Proprio negli ultimi giorni, dal 10 al 23 aprile 2018, l’aviazione indiana tiene una nuova edizione della sua maggior esercitazione, la Gaganshakti, coordinando fino a 1.100 aeroplani, fra velivoli da combattimento, trasporto, ricognizione, impegnati ciascuno in un ciclo di tre-quattro missioni al giorno, almeno stando a quanto dichiarato ufficialmente.

Lo scenario operativo è quello di una guerra estesa sia lungo i confini col Pakistan, tanto da prevedere voli sul deserto del Rajastan, sia lungo i confini settentrionali con la Cina. Ma si sono tenute anche missioni in coordinazione con la Marina e che vedono protagonisti gli stessi caccia Mikoyan Gurevich Mig-29K navalizzati imbarcati sulla portaerei Vikramaditya. Il commento di un autorevole esperto come il vice maresciallo dell’Aria indiano in ritiro Manmohan Bahadur, non lascia dubbi sulle ambizioni tous azimuts della Gaganshakti 2018, che immagina il pericolo di un asse cino-pakistano che circondi l’India dal continente ma anche dal mare.

L’aviazione indiana ha anche un importante ruolo marittimo nell’assicurare gli interessi nazionali dell’India. La Gaganshakti è un’esercitazione pan-indiana e le operazioni aeronavali ne sono certamente parte. Ci saranno molti spunti di origine marittima dato alla nostra aviazione, che li prenderà sul serio”.

La ricognizione aerea indiana sul mare, del resto, si è rafforzata dall’anno scorso con aumentate missioni sulle Nicobare e le Andamane dei propri pattugliatori Boeing P-8I Neptune, la versione specializzata per l’India del P-8A Poseidon americano, dal quale si differenzia per aggiuntivi radar di coda e sensore MAD, ossia il classico detettore di anomalie magnetiche per rilevare la massa metallica sommersa dei sottomarini.

E, fra i vari avvistamenti di sottomarini cinesi, il 4 luglio 2017 i velivoli indiani ne avvistarono uno di classe Yuan appena entrato nell’Oceano Indiano dalla Malacca e accompagnato dalla nave appoggio logistico Chongmingdao e dalla nave-spia Haiwingxing, un tipico scafo Sigint, cioè per la Signal Intelligence, ricco di antenne per origliare e analizzare le altrui emissioni.

Non era un caso la presenza della piccola squadra cinese nella zona, poiché pochi giorni dopo, dal 10 al 17 luglio, si teneva l’esercitazione navale Malabar congiunta fra India, Stati Uniti e Giappone. Fra i “pezzi forti”, partecipavano la portaerei indiana Vikramaditya, quella americana Nimitz e quella giapponese Izumo, pure quest’ultima ancora declassata portaelicotteri. Un mese dopo, in agosto, l’India rilevava una punta di 14 unità cinesi, fra navi di superficie e sottomarini, presenti nello stesso momento nell’Oceano Indiano.

Ovviamente l’India può contare sugli alleati e in special modo Usa e Giappone per tutelare le rotte marittime della regione. E negli ultimi tempi Nuova Delhi può davvero mettere a frutto due importanti cambiamenti come l’ormai inesorabile allontanarsi di Washington da Islamabad e la crescente emancipazione di Tokyo dalle proprie limitazioni costituzionali al dispiegamento di forze in mari lontani, ma così cruciali, transitandovi la maggior parte del petrolio destinato al Sol Levante. Ù

V’è poi l’incontrovertibile fatto che l’India conta su più numerosi punti d’appoggio nel suo oceano domestico, incrementati da recenti accordi coi governi dell’Oman e delle Seicelle. Ciò contribuisce tutto sommato a rendere ottimisti gli esperti indiani, come il capitano di marina Gurpreet Khurana, direttore della Fondazione Nazionale Marittima di Nuova Delhi, che lo scorso marzo ha dichiarato: “Nell’Oceano Indiano è ancora l’India più forte della Cina.

La geografia è molto importante nel comparare la forza navale dei due paesi. La Cina ha una geografia molto avversa. La sua proporzione fra superficie e linea costiera è fra le peggiori del mondo. Significa che la maggior parte della Cina è orientata sull’entroterra. La sua costa, verso Oriente, è molto lontana dalla fonte delle risorse naturali. A causa di ciò, la Cina ha bisogno disperatamente di venire nell’Oceano Indiano man mano che la sua forza economica cresce”.

Khurana avverte però che, se pure non può conseguire il proverbiale “controllo del mare” (sea control), la Cina può agire coi i suoi sottomarini, ed eventualmente coi bombardieri a lungo raggio, per ripiegare sul classico “diniego del mare” (sea denial).

E’ però esposta a sua volta a quello stesso rischio di strangolamento che vorrebbe imporre ai suoi vicini dell’Asia Orientale presidiando dalle Spratly le “porte” della Malacca e della Sonda.

E proprio l’India, che ha il vantaggio di avere tutte le sue forze aeronavali concentrate, a portata di mano, nell’omonimo oceano, può tenere in ostaggio i cinesi, ai quali tocca sopraggiungere da lontano.

Una delle maggiori incognite di questo problema strategico è fino a che punto le nuove basi cinesi nell’Oceano Indiano possano, almeno in parte rimediare a questa situazione. Il capitano Khurana osserva ancora: “Gibuti e Gwadar o Jiwani, in Pakistan, potrebbero essere tutte basi navali cinesi. Ciò che i cinesi stanno tentando di ottenere è di abbreviare le loro linee logistiche. Essi sarebbero capaci di farlo, ma fino a un certo punto, non completamente. Ciò perché, perfino con basi o punti d’appoggio nell’Oceano Indiano, essi abbisognerebbero di essere riforniti dalla base madre in Cina”.

Il corridoio pakistano

Gli indiani sanno che il potenziale asso nella manica dei cinesi potrebbe essere la prossima apertura di una vera e propria base militare cinese, la seconda all’estero dopo la piccola Gibuti, proprio sulle coste del Pakistan, a Jiwani, non troppo lontano dal già esistente porto commerciale di Gwadar.

Gli americani hanno lanciato l’allarme fin dal 3 gennaio 2018, non a caso negli stessi giorni in cui il presidente Donald Trump rompeva con il governo di Islamabad in una sequela di reciproche accuse fra Usa e Pakistan circa il non aver fatto abbastanza contro il terrorismo.

Secondo la stampa americana, i cinesi hanno in progetto di realizzare una grande base aeronavale sulla penisola di Jiwani, che si estende 80 km a Ovest del grande porto di Gwadar, a circa 34 km dal confine con l’Iran. Già Jiwani ospita una piccola base navale pachistana e un aeroporto la cui pista non supera 1700 metri di lunghezza. Ebbene, il 18 dicembre 2017 una delegazione mista di 16 ufficiali cinesi e 10 pachistani ha compiuto un sopralluogo sull’area in preparazione di lavori che potrebbero iniziare già nel luglio 2018 per ampliare il porto e realizzare una grande pista adatta anche a bombardieri e grandi velivoli da trasporto.

La futura base a Jiwani, affacciata sul Mare Arabico a circa 400 km a Est dello Stretto di Hormuz, darebbe ai cinesi un duplice vantaggio poiché offrirebbe in senso difensivo copertura aeronavale al porto di Gwadar, come vedremo terminale della nuova importante arteria logistica che la Cina si sta costruendo attraverso il Pakistan, ma anche in senso offensivo un capitale di deterrenza sui traffici petroliferi in uscita dal Golfo Persico, previo accordo con l’ospitante Pakistan.

Il governo di Pechino per ora tace sui progetti a Jiwani, ma un commentatore vicino all’Armata Popolare, Zhou Chenming, ha dichiarato il 5 gennaio al giornale South China Morning Post: “La Cina ha bisogno di un’altra base nella zona di Gwadar per le sue navi da guerra poiché Gwadar è attualmente un porto civile. E non può fornire specifici servizi per le navi da guerra”. Ha messo però in guardia circa i rischi che potrebbero derivare alla base cinese dal fatto di trovarsi nella turbolenta regione pachistana del Balucistan, dove agisce una guerriglia indipendentista: “Lì l’ordine pubblico è davvero un pasticcio”.

E’ vero comunque che lo stesso porto di Gwadar, pur nato come scalo commerciale, può fornire già ora spazio per unità militari, sebbene in emergenza, non essendo questo il suo scopo principale.

Il porto fu inizialmente costruito dai pachistani fra il 2002 e il 2007, al costo di 248 milioni di dollari, venendo inaugurato ancora dall’allora presidente, il generale Parvez Musharraf.

Si trattava di una struttura piuttosto contenuta, con tre moli distribuiti lungo 600 metri di costa. Poi sono arrivati i cinesi, nell’ambito dei loro progetti di ampio respiro per una nuova “via della seta”, e la compagnia statale China Overseas Port Holdings Limited è intervenuta con un contratto firmato il 18 febbraio 2013 con un massiccio investimento di oltre 1 miliardo di dollari per contribuire alla maggior porzione dei totali 1,62 miliardi costati per l’ampliamento di Gwadar alle dimensioni attuali, con strutture lungo ben 3 km di costa.

Alla vigilia del completamento dei lavori, nel 2015, il governo pachistano ha affittato alla compagnia cinese il porto fino al 2059. L’operatività del rinnovato scalo è stata dichiarata nel 2016, ma si presume verrà ancora incrementata nei prossimi anni.

La capacità teorica massima dello scalo commerciale è di 400 milioni di tonnellate di merce all’anno, compreso petrolio e gas. Tutte risorse che possono essere indirizzate verso la Cina attraverso il corridoio strategico, sia ferroviario che stradale, già in gran parte costruito dai cinesi attraverso il Pakistan, sulla base del piano CPEC, ovvero il China-Pakistan Economic Corridor, per cui Pechino sta investendo un fondo faraonico di 62 miliardi di dollari. In parte ha già cominciato a funzionare, poiché i primi carichi di merci cinesi per le esportazioni sono già arrivati a partire dal 13 novembre 2016 al porto di Gwadar per essere imbarcati e spediti nel mondo. Ma l’intera rete stradale e ferroviaria che da Kashgar, nella desertica provincia cinese dello Xinjiang, ha come capolinea proprio Gwadar, riducendo a 3500 km per via terrestre i tragitti altrimenti marittimi di 12.000 o anche 16.000 km fra i porti della Cina Orientale e l’Oceano Indiano, sta ancora crescendo.

Questo corridoio strategico cino-pachistano, importante soprattutto dal punto di vista commerciale, ha anche riflessi militari, poiché attraverso di esso la Cina spera di aggirare per linee interne, attraverso il continente, il problema della propria stessa vulnerabilità a eventuali blocchi avversari degli stretti fra Indiano e Pacifico. In tal modo, quando il dispositivo sarà completato dalla non lontana base aeronavale di Jiwani, la Cina potrà a suo piacimento creare problemi con gli accessi della Malacca e della Sonda, minacciando di strangolare, se necessario, l’afflusso di petrolio agli alleati degli Usa nell’area, ma a sua volta tutelandosi da questo rischio in un modo che è negato, per esempio al Giappone o a Taiwan, impossibilitati a sbocchi diretti sull’Oceano Indiano come invece Pechino tramite il patto con Islamabad.

Oltretutto, con i trasporti terrestri da Kashgar a Gwadar, si possono rifornire agilmente le guarnigioni cinesi in Pakistan e da lì anche la non troppo lontana base di Gibuti. E’ come se, per certi aspetti, la Cina stesse realizzando quel sogno di arrivare ai mari caldi che era stato in passato il motore dell’espansionismo russo verso l’Afghanistan e l’India, sia al tempo degli zar, sia in tempi sovietici. Gwadar peraltro può costituire una porta di riserva per far uscire le esportazioni cinesi in acque che, in caso di guerra con gli Usa, sarebbero presumibilmente meno presidiate dalla Us Navy, rispetto al principale teatro, che sarebbe il Pacifico.

E il tutto senza contare l’arma di ricatto posta dal trovarsi vicini allo Stretto di Hormuz, sebbene in tal caso sia da valutare a seconda della meccanica degli eventi se la Cina potrebbe trovare un’intesa d’intenti con l’Iran oppure no.

Già verso la fine dell’anno scorso, il 1° dicembre 2017, il comandante della Marina indiana, l’ammiraglio Sunil Lanba ha avvertito ufficialmente il pericolo: “Se in futuro navi della Marina Popolare Cinese opereranno da Gwadar, ciò sarà motivo di grande ansia e dovremo pensare ai modi per mitigare questa sfida.

Per ora abbiamo dispiegato 24 navi di pattuglia e 7 sottomarini nelle aree chiave dal Golfo di Aden allo Stretto della Malacca, fino agli stretti della Sonda e di Lombok”. E’ ancora presto per dire quanto davvero la Cina potrà influenzare a suo favore gli equilibri strategici nell’Oceano Indiano, anche perché gli altri attori, India e Usa in primis, non staranno a guardare. Dati i presupposti che qui abbiamo tratteggiato, Pechino è però sulla buona strada.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 14 maggio 2018, 3:05

Ilgiornale.it ha scritto:
Prove in mare per la prima portaerei realizzata in Cina

La portaerei Shandong Tipo 001A (CV-17) poche ore fa ha lasciato i cantieri navali nel nord-est di Dalian per iniziare le prove in mare. Il secondo vettore Tipo 001A (CV-17) è stato interamente costruito in Cina ottimizzando il disegno della Liaoning.

La prima portaerei della Cina: Liaoning (CV-16)

La portaerei Liaoning è il secondo vettore della classe Admiral Kuznetsov che risale all’era sovietica. Anche se la sua capacità complessiva è ostacolata dalla sua centrale elettrica relativamente inefficiente e dal sistema di lancio (ski jump a differenza delle catapulte a vapore), il vettore rappresenta un passo importante nel promuovere la capacità di proiezione globale della Cina.

Entrata ufficialmente in servizio con l’Esercito Popolare di Liberazione il 16 novembre del 2016, la portaerei da 60mila tonnellate acquistata dall’Ucraina nel 1998 è stata totalmente rivista e modernizzata. L’autonomia della Liaoning è stimata in 45 giorni di navigazione, pari a settemila chilometri al massimo della velocità consentita, circa 32 nodi (secondo la stima del Pentagono non dovrebbe superare i venti). La Marina Militare cinese conferma un gruppo di volo standard formato da venti caccia imbarcati Shenyang J-15 e dodici piattaforme a rotore Changhe Z-18J (AEW) e Z-18F (ASW). Le limitazioni fisiche ed operative della Liaoning indicano che potrebbe essere più adatta per svolgere missioni regionali, ma rappresenta un simbolo. Per raggiungere un livello di operazioni globali paragonabile a quella della Marina americana, la Cina avrà bisogno di decenni di esperienza.

La seconda portaerei cinese: Shandong Tipo 001A (CV-17)

Ufficialmente presentata il 23 aprile dello scorso anno durante le cerimonie per il 68esimo anniversario della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione, la portaerei cinese Shandong è stata realizzata nel cantiere di Dailian, nel nord della Cina. Il secondo vettore Tipo 001A (CV-17) è stato interamente costruito in Cina ottimizzando il disegno della Liaoning. Il viaggio inaugurale si è svolto nel Mar di Bohai. I test in mare continueranno per l’intero anno in corso con primo pattugliamento operativo previsto tra il 2019 ed il 2020. La Shandong ha un dislocamento di 65mila tonnellate ed un sistema di alimentazione convenzionale (caldaie a gasolio e turbine a vapore) con un’autonomia di settemila chilometri a 32 nodi. Le centrali elettriche sono presumibilmente più efficienti, potenti ed affidabili delle loro controparti dell'era sovietica. La Shandong trasporterà fino a 24 caccia Shenyang J-15 che decolleranno dal medesimo ponte STOBAR della Liaoning appartenente alla classe Admiral Kuznetsov (pendenza di 12 gradi anziché 15 come sulla Liaoning). Sebbene efficace, il lancio STOBAR non è paragonabile al CATOBAR o Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery, decollo assistito da catapulta ma recupero arrestato presente sulle Nimitz statunitensi. Un vettore CATOBAR è in grado di lanciare velivoli dotati di maggior carburante e carico utile. I principali sistemi come la propulsione, l’elettronica e l’armamento sono stati realizzati in Cina. Il vettore è equipaggiato con quattro batterie di difesa HQ-10. Una delle principali differenze tra le portaerei Liaoning e Shandong è il design a misura di uomo: il secondo vettore presenta ambienti più confortevoli e moderni per il personale imbarcato. La portaerei Liaoning è stata progettata per testare l’affidabilità e la compatibilità dei sistemi indigeni e per la formazione del personale. Il secondo vettore sarà a tutti gli effetti una piattaforma da battaglia che contribuirà alla difesa degli interessi nazionali.

La terza portaerei cinese: Tipo 002 (CV-18)

Lo scafo del terzo vettore Tipo 002 (CV-18) attualmente in costruzione nei cantieri di Jiangnan Changxingdao nell’area di Shanghai, sarà completato per il 2020. Il vettore dovrebbe avere un dislocamento da 80 mila tonnellate, il doppio della Charles de Gaulle da 42,500 tonnellate e 15 mila tonnellate in più delle classi Queen Elizabeth ed Admiral Kuznetsov. La CV-18 sarà configurata per ospitare le catapulte a vapore ed elettromagnetiche. Sulla catapulta elettromagnetica non è necessaria alcuna riconfigurazione, diversamente da quanto avviene oggi per quelle a vapore che presentano dei limiti in base alla massa dei velivoli lanciati. Il sistema di lancio elettromagnetico consente flessibilità d’impiego per una varietà di piattaforme che possono decollare dal vettore a pieno carico. Presso la Huangdicun Airbase, i cinesi continuano a testare le piattaforme J-15 sia sulle catapulte a vapore che su quelle elettromagnetiche. Sono gli stessi analisti cinesi sulle agenzie di stampa del paese a giustificare l’esigenza di una terza portaerei per garantire i pattugliamenti armati a lungo raggio e per le missioni umanitarie. La Cina ha già confermato che il terzo vettore Tipo 002 avrà una propulsione convenzionale.

L’importanza della tecnologia elettromagnetica

Le catapulte convenzionali sfruttano la pressione del vapore per lanciare il gruppo aereo imbarcato sulle portaerei. Per raggiungere l’efficienza energetica e concentrare la pressione ottimale per lanciare in sicurezza un velivolo, è necessario del tempo che limita inevitabilmente i tassi di sortita. Solitamente, una catapulta convenzionale necessita di 610 kg di vapore per lanciare un velivolo. L’Electro-Magnetic Aircraft Launch System, sfrutta la forza elettromagnetica combinata alla spinta dei motori dell’aereo ed alla velocità del vento. Sulla catapulta elettromagnetica non è necessaria alcuna riconfigurazione, diversamente da quanto avviene oggi per quelle a vapore che presentano dei limiti in base alla massa dei velivoli lanciati. Il sistema di lancio elettromagnetico consente flessibilità d’impiego per una varietà di piattaforme che possono decollare dal vettore a pieno carico. L’uso di una forza più costante e regolabile, infine, riduce lo stress sulla struttura degli aeromobili, poiché l’energia cinetica del velivolo in atterraggio è controllata da un motore elettrico. Nella tecnologia elettromagnetica, i quattro alternatori sviluppano il 29 per cento in più di energia, circa 121 megajoule, rispetto ai 95 megajoule della catapulta a vapore. I lanciatori EMALS e l’Advanced Arresting Gear sono stati sviluppati dagli Stati Uniti per le nuove portaerei classe Gerald R. Ford.

Advanced Arresting Gear

L’Advanced Arresting Gear sostituirà l’attuale sistema di arresto idraulico utilizzato sulle portaerei degli Stati Uniti. Il sistema AAG è stato progettato per una più ampia gamma di velivoli tra cui gli UCAV. Il sistema elettrico prevede la decelerazione degli aeromobili durante le operazioni di recupero sulle portaerei, fornendo margini di affidabilità e sicurezza superiori rispetto agli attuali asset convenzionali. L’Advanced Arresting Gear utilizza semplici turbine ad assorbimento di energia accoppiate ad un motore a induzione per controllare con precisone le forze di arresto.

La quarta portaerei cinese: Tipo 003 (CV-19)

Entro il 2025 la Cina dovrebbe essere mettere in produzione la sua quarta portaerei Tipo 003 da centomila tonnellate, la prima a propulsione nucleare. Fin dal 2013, le China Shipbuilding Industry hanno avviato gli studi per la propulsione nucleare sui vettori sfruttando il know-how acquisito con i sottomarini classe Han. L’energia nucleare conferisce al vettore la capacità di navigare per mesi senza i vincoli di logistica ed approvvigionamento del combustibile. Un vettore a propulsione nucleare sarebbe in grado di proiettare la potenza cinese al di là delle proprie acque territoriali, garantendo flessibilità senza precedenti. Il primo pattugliamento operativo è previsto per il 2030. Quando entrerà in servizio, l’unità Tipo 003 della Cina sarà la più grande nave da guerra non americana al mondo. Nel disegno concettuale pubblicato dalla China Shipbuilding Industry Corporation, il vettore imbarca caccia J-15 Shenyang e J-31 Shenyang, il Sistema Aviotrasportato di Preallarme e di Controllo KJ-600, piattaforme a rotore Changhe Z-18J (AEW), Z-18F (ASW) e droni da combattimento a bassa osservabilità.

Lo scorso marzo la China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC) ha svelato accidentalmente sul proprio sito, il disegno concettuale della prima portaerei a propulsione nucleare della Cina. Entro il 2030 saranno quattro le portaerei in servizio con la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione. Per il 2049, la Cina stima una forza attiva di dieci portaerei.

Il Chengdu J-20 non è progettato per le portaerei

Contrariamente a quanto affermato in precedenza, il Chengdu J-20 non è stato progettato per essere imbarcato sulle portaerei. Il design ed i componenti strutturali del primo caccia di quinta generazione della Cina sono stati concepiti per essere utilizzati come un aereo da guerra a terra. Ciò significa che la sua resistenza strutturale potrebbe non essere stata rinforzata per il decollo o l'atterraggio su un vettore. Ad esempio le ali del J-20 non sono pieghevoli. A differenza degli F-35 Lightning II, il J-20 non necessita di un hangar con temperatura e umidità costanti. Tuttavia si ignora il grado di resistenza del suo rivestimento radar assorbente ad un ambiente offshore con alta salinità ed umidità.

I Gruppi da Battaglia delle portaerei della Cina

La Tipo 003 (CV-19) sarà la prima portaerei della Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione a ricevere un gruppo da battaglia per la proiezione strutturato sulle cacciatorpediniere lanciamissili Tipe 055 e sui sottomarini d'attacco di nuova generazione Tipo 095.

Cacciatorpediniere lanciamissili Tipo 055

Il cacciatorpediniere lanciamissili della nuova classe Tipo 055 della Cina è armato con due griglie da 122 missili a corto, medio e lungo raggio su lanciatori verticali modulari. E’ la medesima dotazione degli incrociatori lanciamissili classe Ticonderoga della Marina Militare Usa, ma il doppio delle più grandi cacciatorpediniere cinesi attualmente in servizio della classe Luyang III. Realizzata dalla Changxing Jiangnan Shipyards di Shanghai (appartenente alla China State Shipbuilding Corporation), dovrebbe entrare in servizio entro il prossimo anno. I lavori sulla capofila della classe Tipo 055 (denominazione Nato Renhai ) lunga 180 metri, larga oltre venti e con un'autonomia di tredicimila km, sono iniziati alla fine del 2014 (primo modello presentato nel 2009). Ha un dislocamento di 12000/14000 tonnellate circa a pieno carico, quasi il doppio della classe Luyang III che andrà gradualmente a sostituire. Il Pentagono classifica le dimensioni della classe Tipo 055 alla stregua degli incrociatori pesanti statunitensi della Seconda Guerra Mondiale. La classe Renhai è superiore per potenza e dimensioni a qualsiasi cacciatorpediniere della Marina indiana attualmente in costruzione (almeno duemila tonnellate più leggere delle cinesi e con meno della metà dei missili).

La componente VLS nel Pacifico

Le cacciatorpediniere classe Arleigh Burke spostano 9800 tonnellate e sono armate in via primaria con 96 celle VLS. Le cacciatorpediniere lanciamissili giapponesi classe Kongo ed Atago hanno un dislocamento di circa 9500/10000 tonnellate e dispongono di 96 batterie VLS. Tra le navi Aegis attualmente in servizio e simili per dimensione ed armamento alla classe Renhai della Cina, troviamo le americane Ticonderoga con dislocamento da 9600 tonnellate e 122 celle VLS e le tre cacciatorpediniere classe Sejong the Great della Marina sudcoreana, undicimila tonnellate e 128 VLS. L'incrociatore lanciamissili Varyag, carrier-killer della classe Slava da 11.500 tonnellate, la più grande nave della flotta del Pacifico di Mosca, trasporta 120 missili su pozzetti verticali. Esclusa la classe Tipo 055, la Cina dispone complessivamente di 1500 batterie di lancio verticali su 39 unità moderne tra cacciatorpediniere ed incrociatori. La Flotta del Pacifico degli Stati Uniti, composta da 36 cacciatorpediniere Arleigh Burke e dodici incrociatori Ticonderoga schiera cinquemila VLS. Il Giappone, infine, schiera una componente VLS di mille lanciatori su 19 cacciatorpediniere. Secondo i dati ufficiali della Marina cinese, la classe Tipo 055 sarà formata da otto unità (tutte sotto contratto). Quattro sono in costruzione nei cantieri di Changxing Jiangnan e Dalian, nella provincia del Liaoning.

Il game changer della Cina

Realizzata con precisi accorgimenti tecnici per ridurre la firma termica ed elettromagnetica, la capofila della classe Renhai è una nave da guerra moderna e multifunzionale dotata di quattro radar AESA a doppia banda Tipo 346X posizionati attorno alla sovrastruttura per una copertura a 360 gradi fino a 600 km di distanza. Il sistema può tracciare centinaia di obiettivi, tra cui missili balistici e da crociera, satelliti, aerei e navi da guerra. L'armamento primario è composto da sistemi di lancio verticale per ordigni tattici e strategici su due griglie da 122 celle. Tra i sistemi d’arma trasportati, missili antinave YJ-18, terra aria HQ-9 e da crociera CJ- 1000. Grazie alla natura modulare dei VLS cinesi, le unità Tipo 055 potranno ricevere in futuro anche gli asset attualmente in sviluppo come i missili ipersonici, SAM a due stadi, missili anti-satellite ed anti-balistici. Indiscrezioni sull’armamento della seconda unità, attualmente in costruzione nei cantieri di Changxing Jiangnan con entrata in servizio idealmente fissata al 2025. Secondo i siti ed i blog cinesi, i medesimi utilizzati dal governo per diramare informazioni sui nuovi asset in sviluppo e creare un sostegno pubblico di base alla modernizzazione militare, la seconda unità Tipo 055 dovrebbe essere armata con cannoni elettromagnetici in grado di sparare proiettili conduttivi al tungsteno (la medesimo tecnologia ancora in via di sviluppo per la classe Zumwalt americana). I proiettili al tungsteno raggiungono il bersaglio con una velocità pari a sette volte quella del suono per una potenza superiore (ad un costo nettamente inferiore) ad un missile Tomahawk. L'hangar coperto a poppa della nave può ospitare due elicotteri Z-18 e piattaforme a pilotaggio remoto con decollo ed atterraggio verticale.

Pechino ripone molta fiducia nella classe Tipo 055 destinata a diventare la principale unità di superficie primaria della Marina cinese nel XXI° secolo. Il modello Tipo 055A, ancora in fase progettuale, è concepito per ospitare una propulsione elettrica integrata in grado di generare abbastanza potenza da alimentare i sistemi d’arma ad energia diretta. Per il modello Tipo 055A si prevede una flotta di trentadue navi. Il programma Tipo 055 trae ispirazione dalla nuova dottrina della letalità distribuita della US Navy.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 18 ottobre 2019, 2:19

Ilpost.it ha scritto:
La Cina sta costruendo la sua prima portaerei di grandi dimensioni

Immagini satellitari ad alta risoluzione pubblicate dall’agenzia di stampa Reuters mostrano che la Cina sta costruendo, nel cantiere navale di Jiangnan a Shanghai, la sua prima portaerei di grandi dimensioni.

Le immagini fanno pensare che non sarà l’unica, vista l’organizzazione e la vastità delle infrastrutture attorno, che potrebbero essere le basi per un nuovo cantiere. Le immagini sono state date a Reuters dal think tank statunitense Centre for Strategic and International Studies (CSIS), che ha raccolto foto dello scorso aprile, settembre e ottobre.

La nuova portaerei sarà la prima cinese ad avere un ponte piatto e una catapulta per aerei, che consentirà l’utilizzo di una maggiore varietà di aerei; lo scafo, secondo gli esperti del CSIS, potrebbe essere terminato entro un anno, poi la nave verrebbe spostata in un porto appena costruito per essere adeguatamente attrezzata.

Finora la Cina aveva costruito solo due portaerei di dimensioni più piccole, in grado di trasportare fino a 25 aerei lanciati da rampe; le portaerei americane più grandi di solito ne trasportano un centinaio.

Secondo il CSIS, è quasi completata invece la costruzione del porto sul fiume Yangtze: ha un pontile lungo quasi un chilometro e grandi edifici per fabbricare componenti di navi. Soltanto un anno fa, le immagini satellitari mostravano che nella zona si svolgevano attività agricole.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 20 dicembre 2019, 1:34

It.insideover.com ha scritto:
Pechino schiera la sua nuova portaerei

La Shandong, seconda portaerei di Pechino, è entrata ufficialmente in servizio nella sempre più imponente Marina militare cinese.

Con i suoi 36 caccia J-15, gli “Squali volanti”, il vettore aeronavale interamente sviluppato e costruito in Cina e ora pronto ad entrare in azione del Mar Cinese accanto alla più vecchia Liaoning. Varata dal presidente cinese, Xi Jinping, a Sanya, sull’isola-provincia di Hainan, la nuova unità navale porta il nome della storica provincia costiera un tempo controllata e fortificata dal Reich tedesco del Kaiser Guglielmo. Ed è il primo passo concreto della proiezioni di potenza che Pechino intende portare nella regione nell’intera regione del Pacifico. A differenza della vecchia Liaoning, progettata con il supporto dell’Unione sovietica, la nuova portaerei, prima nota come Type 001A, è destinata a solcare i mari più “caldi” della regione, dove passano le principali rotte commerciali del Pacifico e dove, in virtù del diritto di libera navigazione, tutte le maggiori potenze navali del mondo hanno convogliato, o intendono convogliare, appena pronti il loro nuovi vettori aeronavali.

Iniziata nel 2013 e varata a tutti gli effetti nel 2018, la Shandong può trasportare fino a 50 velivoli, tra mezzi ad ala fissa e ala rotante. Il suo ponte, lungo 315 metri, è stato sviluppato per accoglie il sistema di decollo e ricovero di apparecchi Stobar – Short Take Off But Arrested Recovery – ed è dotata, nel suo culmine, di uno Sky-Jump come i due nuovi vettori analoghi varati dalla Gran Bretagna, e come lo era la Liaoning; che sul piano del design e delle specifiche strutturali deve senza dubbio essere stata una base importante da cui partire per Dalian Shipbuilding Industry Company: il cantiere cinese cui è stata affidata la commessa. Notata nello Stretto di Taiwan – altro tratto di mare molto caldo – la portaerei Made in China aveva destato allerta tra le forze militari di Taipei, e aveva incuriosito la Marina degli Stati Uniti, che è giornalmente impegnata in un confronto di botta e risposta tra esercitazioni e piccole provocazioni con la Marina di Pechino e la sua forza aerea che è stata invita a presidio degli avamposti militari stabiliti sulle isole artificiali come le Spratly.

Secondo quanto reso noto, attualmente l’obiettivo di Pechino è quello di: “Completare l’opera di modernizzazione delle proprie Forze Armate entro il 2035”, e l’entrata in servizio della nuova porterei viene vista come un passo importante per aumentare la propria potenza sul piano navale. Essa di fatti va considerata soltanto come la prima portaerei di costruzione cinese che la Pla Navy – People’s Liberation Army Navy – intende mettere in linea nel prossimo ventennio. Secondo numero analisti, e sporadiche dichiarazione del governo cinese, alla Shandong si affiancheranno “altre portaerei”, anche a propulsione nucleare in futuro, per consentire a Pechino di avere più opzioni tattiche e strategiche nelle aree d’influenza. La Repubblica popolare cinese punta ad essere la seconda potenza al mondo per numero di portaerei, avendo messo in cantiere altre due unità analoghe alla Shandong che potrebbero essere varate e testate prima del 2030. Attualmente la prima potenza del mondo per numero di portaerei è l’America, con 11 vettori. Seguita dal Regno Unito che ne possiede 2 di ultima generazione, della Francia che ne possiede 1, e dall’Italia, che sebbene con una stazza ridotta possiede due unità portaeromobili con una terza in arrivo. Russia e India sono dotate entrambe di vettori aeronavali ma relativamente “obsoleti”.

L’intenzione di Pechino, come riportato in precedenza, non può essere che chiaro un segno delle sue mire espansionistiche nei mari orientali e forse, in futuro, nelle nuove zone d’influenza che desidera ottenere nel mondo.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 10 dicembre 2020, 3:46

Analisidifesa.it ha scritto:
La rapida ascesa dell’Aviazione Navale cinese

È il nuovo volto della Cina, capace di ridefinire gli equilibri di potenza sotto molti profili, strategici, operativi e dottrinali. Lineamenti ambiziosi di un paese non più ripiegato esclusivamente nella difesa territoriale, ma smanioso di proiezioni a lungo raggio. Con il secondo budget militare al mondo, le forze armate cinesi si stanno rafforzando a un ritmo frenetico, puntando tutto sulla concretezza per ghermire i sogni di potenza, come testimoniato dai progressi dell’ordito aeronavale e di quello aerospaziale.

La velocità dei progressi qualitativi è addirittura superiore agli incrementi numerici, sebbene la Cina rimanga ancora la seconda potenza militare mondiale, ben lontana dalla forza degli Stati Uniti. Pechino punta a colmare il gap con l’innovazione tecnologica che ha già determinato qualche vantaggio nell’ipersonico e nel cibernetico.

Nell’ultimo mezzo secolo la sua aeronautica ha conosciuto una trasformazione sensazionale, in sintonia con la crescita generale e le nuove ambizioni del paese. Ancora più spettacolare è stata l’ascesa dell’Aviazione di Marina, almeno a partire dall’inizio del nuovo secolo. A lungo trascurata dal potere centrale, la People’s Liberation Army Navy – Air Force (PLAN-AF) è in piena evoluzione. Maturano i velivoli e aumentano i piloti: entro fine 2020 saranno “combat ready” 55-70 piloti dei caccia imbarcati J-15, gli ultimi 12 hanno ottenuto il brevetto di appontaggio sulla Liaoning in novembre.

La costituzione progressiva di una flotta di portaerei e la maturazione della strategia della “collana di perle” promettono cambiamenti ancora più radicali nei decenni a venire. In fondo, la storia della PLAN-AF è abbastanza recente. Risale agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso e non annovera molte esperienze belliche.

Ricordiamo qualche successo tattico contro i piloti taiwanesi negli anni ’60 e i bombardamenti sul Vietnam nel 1979. Per il resto, l’Aviazione di Marina è sempre rimasta la parente povera dell’Aeronautica, meglio equipaggiata e più moderna.

Un’inferiorità che sta lentamente scemando. Con i nuovi mezzi in dotazione, crescono anche le missioni. Fin dagli inizi, il ruolo essenziale della PLAN-AF è stato quello di garantire il supporto alle unità navali della Marina, attraverso operazioni di superiorità aerea e attacchi antinave. Operazioni tuttora valide, cui si sono aggiunte nei nuovi scenari le missioni di supporto aereo ravvicinato alle fanterie di marina e la lotta antisom.

La struttura della PLAN-AF

Con lo sviluppo frenetico dei mezzi di superficie e la galvanizzazione delle ambizioni emisferiche cinesi, la PLAN-AF è stata profondamente ristrutturata. A partire dal 2007, è passata da 8 a 6 divisioni operative, puntellate dall’integrazione di reggimenti fino ad allora indipendenti. Oltre alle unità da trasporto e da addestramento assegnate al quartier generale della Marina, due divisioni a testa sono appannaggio di ciascuna delle tre Flotte (Nord, Est e Sud), a loro volta integrate nei comandi di teatro Settentrionale, Orientale e Meridionale.

L’organizzazione attuale potrebbe presto evolvere sulla falsariga di quanto avvenuto per l’Aeronautica, optando per una struttura in brigate al posto dei reggimenti subordinati alle divisioni. Per il momento, l’aeronavale cinese ha subito una cura dimagrante, con la radiazione degli ultimi velivoli Q-5, J-6 e J-7.

Una deflazione quantitativa ampiamente compensata sul piano delle capacità dall’arrivo copioso di nuovi intercettori e caccia multiruolo. Fra gli intercettori più anziani in servizio, figurano ancora una cinquantina di J-8H/F, varianti ammodernate del caccia pesante J-8C (nella foto sotto) degli anni ‘80, prodotte e consegnate all’inizio degli anni 2000, comprese le versioni da ricognizione.

Il J-8F è un aereo di seconda generazione, in linea dal 2003. Concepito come intercettore a grande velocità e alta quota, può raggiungere Mach 2.2 e quasi 21.000 m in altitudine. In quegli stessi anni, a partire dal 2004, la PLAN-AF ha cominciato a ricevere un centinaio di cacciabombardieri JH-7A specializzati nella lotta antinave e derivati dal JH-7, entrato in servizio intermittente a partire dal 1994.

Oggi il JH-7A opera con più unità basate nella penisola di Shandong: integra infatti il 14° Reggimento della 5a Divisione di caccia della marina cinese, di stanza a Laishan, e la 15a Brigata di Aviazione di Weifang. Ma l’unità storica e cruciale per l’impiego del cacciabombardiere è il 27° Reggimento della 9a Divisione aerea della Marina cinese.

I 24 JH-7A del reggimento sono basati a Ledong, una piccola contea autonoma nel sud-est dell’isola di Hainan, amministrata dalla minoranza etnica Li. La base di Ledong è strategica, lambita dal Mar Cinese Meridionale, e distante meno di 400 km dall’isola di Woody, nelle Paracels, e meno di 1.100 km da Fiery Cross, nelle Spratleys.

Aspetto che permette ai suoi velivoli di raggiungere qualsiasi punto del quadrante in meno di un’ora. La costituzione della 9a divisione aerea risale all’agosto 1968 e si compone di quattro reggimenti tra i quali il 27° è stato il primo ad essere equipaggiato con i JH-7/JH-7A (nella foto sotto).

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La qualifica dei piloti e la padronanza dei velivoli sono state acquisite in 8 mesi. Tra gli altri tre reggimenti della divisione il 25°, basato sull’isola di Woody e armato con velivoli J-11BH e J-11BSH, il 26° reggimento di Sanya con aerei da trasporto ed elicotteri, e un reggimento di nuova formazione, ancora non identificato, con aerei ASW GX-6 e AWACS KJ-500H.

In un reportage del China Daily, poi rimosso dal web, si vedevano i vari ruoli dei JH-7A del 27° reggimento. Parliamo di un velivolo capace di trasportare mine, bombe a caduta libera o guidate, missili antinave YJ-83 e missili antiradar YJ-91 per la soppressione delle difese aeree (SEAD)

A Ledong alcune immagini mostrano JH-7A armati di pod di disturbo elettronico e di 4 missili antiradar YJ-91, ma la stragrande maggioranza dei cacciabombardieri è dedicata ancora alla lotta contro obiettivi di superficie, a terra e in mare. Negli anni a venire, una parte dei JH-7A e dei J-8H/F potrebbe esser rimpiazzata da due versioni dei Flanker, probabilmente varianti dei J-11D o dei biposto J-16 multiruolo.

A parte l’età, i JH-7A non sembrano molto affidabili. Sono noti almeno 13 incidenti occorsi al velivolo dal 1994 ad oggi, costati la vita a non meno di 15 piloti. Quanto ai Flanker, similmente a quanto avviene per l’Aeronautica, sono la spina dorsale dell’Aviazione Navale cinese.

Due dozzine di Su-30MK2 (nella foto sopra) polivalenti sono state consegnate a partire dal 2004, rappresentando un vero e proprio salto operativo. Questi velivoli sono capaci di imbarcare un’intera gamma di missili e bombe a guida laser, infrarosso o TV. Fra questi meritano di essere menzionati i missili aria-terra Kh-29, i missili da crociera Kh-59 e i Kh-31 antiradar o antinave.

Le bombe pesanti a guida laser KAB-500/1500L di origine russa sono affiancate oggi da ordigni di produzione nazionale, che vedremo meglio in seguito. Ai Su-30MKK sono seguiti nel 2010 una mezza dozzina di squadroni di J-11BH monoposto e J-11BSH biposto. Sono proprio i J-11BH del 22° Reggimento di Jialai ad aver intercettato un P-8A Poseidon dell’US Navy nell’agosto 2014, all’est dell’isola di Hainan, in un corridoio marittimo molto bazzicato dai sottomarini lanciamissili balistici della marina cinese

Ultimi arrivati nei reggimenti basati a terra, il J-10AH (nella foto sotto) e il biposto J-10SH affiancano dal 2010 i J-11, JH-7 e J-8. Inizialmente destinato alla difesa aerea locale, il monoreattore J-10 sembra dotato almeno da tre anni a questa parte di capacità di strike di precisione.

Nel 2016, il canale televisivo dell’esercito cinese ‘Primo Agosto’ aveva diffuso un reportage ad hoc su questi monoreattori della Marina, in prima linea fronte al Giappone nel mar cinese orientale. Le immagini, non più disponibili on line, li mostravano con un nuovo pod di designazione laser, del tipo K/JDC01A.

I J-10 filmati montavano tutti serbatoi supplementari, segno che la distanza da percorrere nell’esercitazione era abbastanza lunga. La camera del pod segnalava inoltre che i bersagli si trovavano su un’isola o su una zona costiera. Basta prendere una mappa per accorgersi che i nemici designati di queste esercitazioni avrebbero potuto essere i taiwanesi, i giapponesi o gli americani di Okinawa, tutti ubicati a meno di 750 km dalla base aerea della Marina di Luqiao, a tiro anche dei missili da crociera e dei vettori balistici a corto raggio come i DF-15.

Pod e bombe

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Negli anni ’90, quando il programma J-10 era ancora in fase di sviluppo, la foto di un simulacro mostrava già che il velivolo era previsto per essere equipaggiato con un pod di targeting, nel pilone sotto la presa d’aria. Proprio come si vede oggi, segno che il J-10 non è stato concepito unicamente come un caccia dedicato all’intercettazione e al combattimento aria-aria.

È stato necessario attendere parecchi anni dopo l’ingresso in linea del J-10, nel 2003, per vedere il caccia equipaggiato con un pod ad hoc o lanciare bombe guidate al laser. Raramente le due cose avvenivano però in simultanea. Inoltre, il pod in dotazione ai J-10 era stato finora il K/JDC01. Il nuovo pod il K/JDC01 è stato sviluppato dall’Istituto di optronica 613 Luoyang del gruppo AVIC all’inizio degli anni 2000 e rappresenta la seconda generazione di pod di targeting.

Più noto è l’altro prodotto dell’Istituto 613 destinato all’export: il pod WMD-7, presentato più volte ai saloni aeronautici di Zuhai. Si tratta di un pod di designazione che include canali infrarosso, televisivo e laser, pesa 280 kg e può designare bersagli fino a 13 km di distanza.

Il K/JDC01A dei J-10 della Marina dovrebbe avere una portata maggiore, per supportare una nuova generazione di armi laser, una sensibilità dei sensori ottimizzata e un campo visivo allargato. A parte il J-10, ne sarebbero equipaggiati anche il JH-7A e l’aereo da attacco al suolo Q-5L, in uso nella sola Aeronautica. Mentre il pod del JH-7A è identico a quello del J-10, il Q-5L ne impiega una variante semplificata, meno costosa, chiamata K/PZS01H.

Molti costruttori cinesi offrono bombe a guida laser sia per il mercato interno che per l’export, fra cui citiamo:

  • la famiglia Tiange, TG-xx o GB-xx, del gruppo terrestre NORINCO;
  • la famiglia Feiteng, FT-xx, del gruppo aerospaziale CASC;
  • la famiglia YZ del gruppo aerospaziale CASIC;
  • la famiglia Lei Shi, LS-xx, del gruppo aeronautico AVIC.


Famiglie di bombe che si dividono in varie categorie e in modi differenti di guida, variabili dai 50 kg per le più piccole ai 1.000 kg per le più grandi. Alcune versioni sono proposte come bombe plananti. La prima generazione scelta dalla Marina e dall’Aeronautica cinese è la LS500J del gruppo AVIC, anche nota come LT-2 nella variante per l’estero. Pesa 564 kg, 450 dei quali di carica esplosiva. Ha un raggio superiore a 10 km e un errore circolare probabile inferiore o uguale a 6,5 m, secondo le specifiche del costruttore.

Guidata da un doppio fascio laser e capace di effettuare una manovra a S all’approssimarsi del bersaglio, la LT-2 rimane comunque una bomba di prima generazione, con guida bang-bang.

Ciò significa che il bersaglio deve restare illuminato fino all’impatto, e quindi il JTAC al suolo o l’aereo equipaggiato di pod devono restare in zona per guidare la bomba, esposti al pericolo potenziale durante il volo degli ordigni. Ad esempio, nel reportage, i piloti del J-10 confidavano di esser rimasti al di sopra dei bersagli per ‘diverse decine di secondi’. Per le nuove bombe guidate, la Marina e l’Aeronautica sembrano aver optato per i modelli TG-250 da 250 kg e per le TG-500 da 500 kg di NORINCO.

Il loro raggio d’azione è superiore a 20 km e il CEP inferiore a 4 metri grazie a un kit planante che ne estende il raggio a oltre 80 chilometri, superiore a quello della maggioranza dei sistemi di difesa antiaerea ravvicinata.

L’ingresso in linea del pod K/JDC01A e delle bombe laser di nuova generazione sono la prova supplementare che la dottrina cinese è ormai cambiata, passando da puramente difensiva a un mix difensivo-offensivo.

Non è chiaro se l’Aviazione di Marina integri anche armi a guida satellitare, come già avviene per la PLAAF. Si tratta di bombe simili a quelle americane JDAM, come le Fei Teng prodotte dalla CASC o le versioni più pesanti delle Lei-Shi di AVIC, che ha sviluppato un’ampia gamma di munizioni con il nome LS-6.

Generalmente montate a coppie sotto le ali dei caccia tattici, le bombe pesanti di prima e seconda generazione si prestano perfettamente alle missioni di interdizione, consistenti in raid pianificati nella profondità del dispositivo nemico contro obiettivi come concentrazioni di veicoli, depositi di carburante e di munizioni, centri di comando e di comunicazione.

Oltre alla gamma Lei-Shi, AVIC propone dal 2008 una nuova versione della Lei Ting, la LT-3 che abbina la guida laser a quella satellitare. Abbastanza da permettere un impiego in ogni condizione contro bersagli fissi e obiettivi di opportunità. Le ultime generazioni di bombe guidate lasciano intendere nuove possibilità d’impiego all’insegna della versatilità.

La guida laser e satellitare si accompagna a quella inerziale per poter bombardare in tutte le circostanze, con tempistiche decisionali rapide e una maggiore reattività delle forze. Oltre ai kit di guida, l’industria cinese sta integrando seeker laser, elettroottici e satellitari su munizioni di piccole dimensioni, puntando alla polivalenza degli impieghi e alla molteplicità degli usi.

Nelle versioni da 50 e 100 kg, le LS-6 sembrano destinate ad esempio a essere impiegate tanto dai caccia leggeri e dai velivoli tattici, quanto dagli aerei furtivi, stivate in baie per armamenti, per attacchi di saturazione.

Sono impiegabili anche dai droni e dagli elicotteri, in molteplici versioni, per il supporto aereo ravvicinato (CAS), l’appoggio alle forze speciali come il reggimento Sea Dragon della Flotta del Sud o i reparti della Fanteria di Marina.

Le foto più recenti mostrano che la nuova variante del J-10, la J-10B, vola con un pod di designazione e due bombe laser nei piloni. Non è chiaro se si tratti dello stesso modello del K/JDC01A o di un altro più recente, ma la suite avionica del velivolo sarebbe ottimizzata per le missioni aria-superficie, enfatizzate rispetto a quelle del J-10A e del J-10S.

Il J-10 armato di bombe laser potrebbe rappresentare la colonna portante delle unità di supporto aereo ravvicinato durante le operazioni di assalto anfibio, essendo il Close Air Support ancora poco padroneggiato dai piloti della PLAN-AF. A termine, l’Aviazione Navale potrebbe ricevere una versione adattata del J-10C, ultima versione multiruolo del velivolo in servizio nella PLAAF.

I bombardieri pesanti

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Come visto in questa breve rassegna, le forze basate a terra dell’Aviazione Navale cinese garantiscono missioni di superiorità aerea, d’interdizione e di CAS a profitto delle truppe di Marina, unitamente a operazioni antinave, sempre più spesso in sinergia con le unità di superficie.

Per allungare il raggio delle missioni oltre la prima catena di isole, la PLAN-AF conta inoltre su una trentina di bombardieri regionali H-6G, in uso nella flotta dell’Est, e sugli H-6J della flotta del Sud, affiancati da un pugno di H-6DU per il rifornimento in volo. Introdotto a inizio anni 2000, l’H-6G può imbarcare fino a quattro missili da crociera antinave, mentre il recentissimo H-6J, versione navale dell’H-6K, dispone di sei piloni.

La sfida del trasporto logistico e delle piattaforme specializzate

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La crescita della Marina e della sua aviazione procedono sinergicamente all’evolvere dei requisiti geostrategici regionali di Pechino, alle sfide imposte dal revisionismo nel Mar Cinese Meridionale e alle esigenze della nuova Via della Seta marittima. Con gli aerei da trasporto, da pattugliamento e da ascolto elettronico, la PLAN-AF partecipa alla preservazione e al rifornimento delle basi operative avanzate negli isolotti del Mar Cinese Meridionale e alla logistica delle prime basi cinesi della “collana di perle” nelle isole Paracelso e Spratley.

Per tali operazioni l’Aviazione di Marina può contare su una cinquantina di velivoli di due famiglie distinte: i bimotori Y-7 e MA-60, derivati dall’An-24 russo, e gli Y-8 e Y-9 quadrimotore mutuati dall’An-12.

Sufficienti a inizio anni 2000, queste flotte sono oggi del tutto inadeguate alle nuove esigenze, limitate per raggio operativo e tassi di disponibilità. Una delle sfide dei prossimi anni verterà pertanto sulla modernizzazione dell’aviazione da trasporto tattico. Si impone logicamente l’acquisto rapido dei MA-60H e soprattutto degli Y-9, versione ammodernata degli Y-8C, visto che i bisogni urgenti di piattaforme specializzate assorbono la quasi totalità degli Y-9 disponibili. (nella foto sotto in versione ELINT Y-9JZ)

Ma la PLAN-AF punta a dotarsi di una flotta da trasporto strategico. Ricorrere agli Y-20 potrebbe essere una soluzione, essendo il velivolo disponibile anche in versione da rifornimento in volo.

Acquisirlo significherebbe colmare alcune lacune nel trasporto strategico e permetterebbe al contempo di rimpiazzare gli H-6DU, oggi incapaci di rifornire i cacciabombardieri J-11 e J-15 della PLAN-AF, in attesa di un tanker cinese ancora più prestante.

Per ora, l’Y-20 in versione cisterna volante può trasportare fino a 60 tonnellate di kerosene, sufficienti a rifornire dodici J-10A/B/C in un raggio di 2.200 chilometri. Per il trasporto strategico nel Mar della Cina si evoca spesso l’acquisto dell’aereo anfibio pesante AG-600, capace di servire come piattaforma di salvataggio, da pattugliatore marittimo o per la lotta antisom.

Se paragonata alle missioni che le competono e all’ampiezza della zona di responsabilità, la PLAN-AF ha una carenza cronica di mezzi antisom a lungo raggio.

Negli ultimi anni, ha integrato una dozzina di Y-8Q/KQ-200 (nella foto sopra), velivoli resistenti e ben armati, capaci di completare verso l’alto le innumerevoli microflotte di aerei da sorveglianza marittima. Gli Y-8Q sono entrati in linea nel 2015, derivati da una piattaforma da trasporto Y-8, si riconoscono facilmente per il lungo MAD o rilevatore di anomalia magnetica in coda e per un grosso radome sotto la punta anteriore, sede di un radar di ricerca di superficie.

Questo nuovo pattugliatore marittimo cinese può essere armato con quattro missili antinave YJ-83KH sotto la fusoliera o con 8 siluri leggeri Yu-11K nella baia interna. Dispone di 4 aperture dietro la stiva interna per rilasciare boe sonore. Con un’autonomia di 10 ore in volo o 5.000 km di distanza percorribile, il KQ-200 è un mezzo ASW importante della marina cinese, similmente al P-3C o al Poseidon americano, sia verso l’Est, di fronte a una flotta di sottomarini diesel giapponesi che si rinnova rapidamente, sia a Sud e nel Mar Cinese Meridionale, teatro ideale per i sommergibili.

Se i requisiti per piattaforme da sorveglianza marittima e antisom sono enormi, la catena di produzione dell’Y-9 dovrebbe fornire altre varianti specializzate dell’aereo. Non meno urgenti sono i bisogni in velivoli radar. L’aviazione navale allinea una decina di aerei AEW basati sull’Y-8, vale a dire gli Y-8J e i KJ-200H, e almeno sei KJ-500H basati su Y-9 modificati per lo stesso impiego, oltre agli Y-9JZ specializzati in missioni di ascolto elettronico.

Parallelamente a questi velivoli ad hoc, la PLAN-AF opera un numero crescente di droni MALE e HALE, configurati talvolta in maniera originale. Dotato di un’ala romboidale, l’EA-03 Soaring Dragon II è un drone HALE più compatto e veloce dei suoi omologhi occidentali.

L’Aviazione di Marina l’ha adottato per rimpiazzare la trentina di BZK-500 e farne una piattaforma versatile e centrale nella detezione di unità di superficie nemiche e nell’ascolto elettronico, al fianco di droni MALE più convenzionali della famiglia Wing Loong. Intanto, l’Istituto 603 Xi’an di AVIC starebbe lavorando al primo AWACS imbarcato cinese e il roll out del velivolo sarebbe imminente.

Al salone di Zuhai del novembre 2018, l’Istituto 14 NRIET del gruppo elettronico cinese CETC ha presentato un video nel quale si vede un AWACS con un radar AESA in configurazione dorso su dorso. I

l velivolo, di taglia media, presenta due turbopropulsori e quattro impennaggi verticali, simili a quelli dell’E-2 Hawkeye di Northrop Grumman. Secondo la descrizione, l’AWACS in questione monta il radar KLC-7, proposto ormai anche all’export. Parliamo di un radar capace di individuare e seguire bersagli aerei e missili da crociera volanti a bassissima quota e obiettivi navali, fornendone le coordinate in 3D.

Non è chiaro se l’AWACS imbarcato impiegherà lo stesso radar, fatto sta che la Cina è l’unico paese al mondo a proporre questo sensore sul mercato internazionale, dato che l’AN/APY-9 sviluppato da Lockheed Martin per l’Advanced Hawkeye è riservato per il momento alle sole forze armate americane.

Portaerei e portaelicotteri

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Parallelamente all’incremento qualitativo e quantitativo della flotta di superficie cinese, c’è stato un aumento numerico e capacitivo dei velivoli di supporto basati a terra, ma soprattutto degli apparecchi imbarcati, elicotteri e cacciabombardieri. Dal 2019, la Cina dispone di due portaerei STOBAR, a decollo corto con arresto assistito. Le due navi hanno una stazza di circa 60.000 t e possono imbarcare una trentina di velivoli su un ponte di volo equipaggiato con un trampolino a 14° di inclinazione.

Una terza portaerei da 80.000 t, dotata di catapulte elettromagnetiche, è in fase avanzata di costruzione. Dovrebbe entrare in bacino entro fine anno. Al cantiere navale Jiangnan Changxing si sono rimboccati le maniche. Lunedì 18 maggio hanno messo in mare un dock flottante di 250×60 m, capace di trasportare fino a 32.000 t di carico. Abbastanza per convogliare i moduli dell’unità verso il bacino secco.

Quanto al dock, dovrebbe essere pienamente operativo già da metà settembre. Nel frattempo, la Marina Cinese riceverà a breve la prima portaelicotteri da assalto LHD Type-075 (nella foto sotto) ,un’unità da 40.000 tonnellate che opererà 28-30 elicotteri delle forze terrestri e dell’aeronavale, fra Z-18 multimissione, WZ-10 d’attacco, multimissione Z-20, futuri elicotteri da combattimento pesanti e da trasporto, e un domani i caccia a decollo e atterraggio verticale J-18, sviluppati da AVIC China Shenyang Aircraft Corporation.

Attesa per la fine dell’anno, la capoclasse delle 075 è stata vittima di un incendio l’11 aprile, un inconveniente che ne ritarderà la consegna anche se a fine ottobre è stata fotografata vicino a Sanya, isola di Hainan, nel Mar Cinese Meridionale mentre iniziato le prove in mare della seconda unità della classe.

Il 25 maggio scorso la portaerei Type 002 Shandong è stata ripresa dalle immagini satellitari mentre lasciava il porto ospitante. Tre giorni dopo navigava nel mar Giallo, fra la penisola coreana e la Cina. Il prossimo agosto potrebbe svolgere manovre congiunte con la capoclasse intorno all’arcipelago delle Pratas, giuridicamente taiwanese.

Per armare la Liaoning e la Shandong, la PLAN-AF dispone di due gruppi aerei imbarcati direttamente subordinati al quartier generale della Marina. Quest’ultimo opera una ventina di cacciabombardieri multiruolo J-15.

Direttamente derivati dal prototipo T-10K-7 acquistato in Ucraina nel 2004, il J-15 è un cugino e non una copia del Sukhoi Su-33. L’ufficio studi 601 Shenyang ne ha derivato non solo il J-15 ma anche una serie di varianti che non hanno più nulla da spartire con gli antenati russi.

Varianti biposto J-15S e altre versioni destinate a missioni SEAD, come la J-15D biposto e una versione monoposto, sono state regolarmente osservate, mentre sono in corso i test a terra di una versione catapultabile per la terza portaerei cinese (J-15A).

Perché Shenyang avrebbe sviluppato una variante biposto? Lo studio, sfociato nel 2012 nel J-15S, rispondeva a uno dei bisogni operativi più urgenti della Marina Cinese, ossia quello di avere una piattaforma imbarcata capace di compiere non solo missioni di superiorità aerea o antinave, ma anche di addestramento e di proiezione più ampia. Diversamente dalla versione biposto del Su-33, in cui i piloti siedono fianco a fianco, il cockpit del J-15S è configurato in tandem, come nella maggioranza dei caccia biposto odierni. Dal J-15S, Shenyang ha sviluppato un’ulteriore variante, dedicata alla guerra elettronica, per missioni di jamming di scorta durante una sortita offensiva di un gruppo aereo o per paralizzare le forze anti-aeree avversarie, similmente a quanto avviene con gli EA-18G Growler dell’US Navy.

Questa nuova versione del J-15 si distingue facilmente per il pod, simile in apparenza all’AN-ALQ-218 del Growler, installato sul bordo dell’ala. Quanto ai velivoli catapultabili, i primi J-15A avrebbero già raggiunto il reggimento basato a Xincheng.

Ma il futuro e i piani di Shenyang dicono altro. Per le portaerei CATOBAR venture, con decollo assistito da catapulta e recupero arrestato, la Marina prevede di dotarsi di un terzo caccia furtivo di quinta generazione, forse basato sull’FC-31 o sul J-20, di un AEW (Airborne Early Warning) derivato dall’Y-7 e ribattezzato KJ-600 e di droni da ricognizione e combattimento.

Il gruppo aereo già imbarcato sulla Liaoning opera anche diverse varianti dell’elicottero Z-18 (nella foto sopra), destinate al trasporto, alla lotta antisom ASM (Z-18F) e alla detezione radar lontana (Z-18J).

Derivato molto migliore del Z-8, copia cinese del Super Frelon francese, lo Z-18 è un elicottero pesante che beneficia degli ampi spazi della Liaoning e che potrebbe conferire alle prossime Type-075 delle capacità di lotta ASM puntuali.

Se lo Z-8 continua a svolgere missioni ASM, sono i piccoli Z-9C/D a rappresentare l’ossatura degli elicotteri imbarcati di referenza per le fregate e i caccia cinesi, affiancando una quindicina di Ka-28 di origine russa. Limitato nella capacità di carico e nell’autonomia, lo Z-9 (nella foto sopra) dovrebbe essere rimpiazzato negli anni a venire da un nuovo elicottero ASM, forse derivato dall’H-175/AC352 o, più probabilmente, da una variante dello Z-20, ispirato all’S-70 americano.

Una forza aeronavale oceanica all’orizzonte

Se sarà confermato il requisito di 6 portaerei e 6 portaelicotteri, per ora incerto, la messa in linea di una tale flotta dimostrerà al mondo intero la strategia assertiva della Cina. Sul piano operativo, la moltiplicazione delle unità di più grosso tonnellaggio si giustificherebbe con l’ampiezza delle missioni ormai assegnate alla flotta di superficie cinese. L’economia del paese dipende massicciamente dalle esportazioni e dall’import di materie prime via mare.

Il controllo marittimo garantito dalle portaerei sarebbe pertanto inteso come un’assicurazione sulla vita e come una polizza per la protezione del territorio, delle risorse e dei mercati della Repubblica popolare.

Al di là degli aspetti puramente difensivi, le portaerei rappresenterebbero un atout offensivo di prim’ordine per assicurare il dominio aereo, gli strike in profondità e il controllo, pur limitato nel tempo e nello spazio, di un punto culminante e chiave della prima catena di isole, vale a dire Taiwan

Per ora, la dottrina aeronavale della Cina non è ancora definitivamente stabilita. I prossimi dispiegamenti operativi dovrebbero svelare qualcosa in più delle ambizioni cinesi in campo aeronavale: le immagini di Planet Labs hanno ripreso la portaerei Shandong in crociera di addestramento con il gruppo di scorta nel mar Giallo, il 27 novembre

Sarà inoltre interessante studiare e conoscere la frequenza delle proiezioni congiunte delle portaerei con le LHD, e sorvegliare la messa in bacino di nuove unità dopo la terza portaerei. Se tre unità sono sufficienti a garantire la permanenza in mare e in battaglia di un unico gruppo aeronavale, ne occorrono almeno sei per potersi proiettare su grandi distanze, ad esempio nell’Oceano Indiano, e assicurare contemporaneamente la gestione di una crisi locale.

Un formato a sei portaerei confermerebbe allora le ambizioni emisferiche della marina cinese, potenza in ascesa che punta a proteggere i suoi interessi marittimi fino al Medioriente e oltre. Sarebbe anche una scelta logica sul piano industriale, essendo lo sviluppo di catapulte elettromagnetiche EMALS e di aerei catapultabili un investimento oneroso e non giustificato per una sola unità. Rimarrà da vedere che ruolo giocheranno le due portaerei STOBAR nella futura flotta, se secondario o primario. Ad ogni modo, saranno servite almeno a creare e addestrare la caccia imbarcata. E non è cosa da poco.

Conclusioni

Se l’Aviazione Navale cinese sta conoscendo uno sviluppo fuori dal comune, si trova ancora a fronteggiare molteplici sfide, causate in parte dalla sua rapida ascesa. Non sono solo gli aspetti logistici a preoccupare, ma anche l’addestramento dei piloti. Sebbene i sillabi formativi siano stati recentemente riorganizzati, la PLAN-AF sta pagando uno squilibrio forte di mezzi e una certa disorganizzazione interna.

Oltre ai piccoli aerei da addestramento, dispone unicamente di una trentina di JH-8H da formazione di base e di una cinquantina di trainer avanzati JL-9H/G e JL-10H. Dopo aver selezionato il JL-9 come aereo scuola di addestramento e trasformazione avanzata a dispetto del JL-10 più moderno, l’aviazione navale sembra oggi sul punto di invertire la rotta.

I JL-9H (nella foto sopra) si sono rivelati costosi nella manutenzione, mentre i JL-9G non sono idonei all’appontaggio su portaerei. Ecco perché secondo il Global Times, la Guizhou Aviation Industry Corporation starebbe già sviluppando una variante imbarcata del trainer.

Attualmente, la formazione dei futuri piloti della caccia imbarcata cinese avviene su trampolini e simulacri di ponte, in scala 1:1. Condizioni lontane anni luce da quelle operative in mare, dove incidono la meteorologia, i movimenti della nave, il rollio, l’ondeggiamento e così via.

Non a caso il 17 novembre il comandante dell’Aviazione di Marina ha detto chiaro e tondo che: ” i trampolini al suolo non sono più adatti alla formazione in massa dei piloti”. Se ne deduce che le infrastrutture in scala 1:1 del centro di addestramento di Xingcheng saranno smantellate e si useranno solo le portaerei e presto i simulatori.

Bisognerà rinforzarne la struttura e ripensarne la motorizzazione. dei JL-9 da addestramento. La coesistenza fra due tipi di portaerei in configurazione STOBAR e CATOBAR con catapulte e cavi d’arresto potrebbe complicare ulteriormente lo scenario. L’altra sfida gravosa per la PLAN-AF riguarda le sinergie e il posizionamento rispetto all’aviazione della PLAAF, con un problema di concorrenza e sfide cooperative, e priorità nell’assegnazione dei nuovi velivoli in fase di consegna.

In seno ad ogni comando di teatro, i mezzi della PLAAF e dell’Aviazione di Marina sembrano per ora mobilitati secondo la prossimità geografica delle unità e non secondo le specialità e le peculiarità di ciascuno.

Gli addestramenti congiunti restano merce rara, e le due forze sono più intercambiabili che complementari. L’arrivo delle nuove portaerei e dei gruppi di volo imbarcati dovrebbero spingere l’aviazione navale a specializzarsi nelle operazioni oceaniche, cedendo la difesa aerea litoranea alle unità della PLAAF.

L’estensione delle capacità aeronavali verso le blue waters potrebbe convincere la PLAN-AF a integrare maggiormente le capacità di raid antinave a lunghissimo raggio, incorporando più bombardieri H-6J, nuovi tanker, futuri bombardieri regionali furtivi e missili ipersonici.

Nell’immediato, gli sforzi dell’aeronavale cinese dovrebbero concentrarsi sulle migliorie incrementali e quantitative dei mezzi in dotazione, accrescendo le componenti rifornibili in volo e i mezzi attribuiti al pattugliamento marittimo, alla lotta ASM e al rifornimento logistico.


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Re: Lo sviluppo dell’aviazione navale cinese

Messaggio da Phant » 20 giugno 2022, 23:19

Aviation-report.com ha scritto:
Varata la Fujian la terza e più grande portaerei della Marina Militare Cinese

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Il 17 giugno 2022 la prima super portaerei cinese di classe Type 003 è stata varata presso il cantiere navale Jiangnan di Shanghai dopo settimane di attesa. Con un dislocamento compreso tra 85.000 e 100.000 tonnellate è di gran lunga la più grande portaerei al di fuori di quelle della Marina degli Stati Uniti. La nave, denominata Fujian (CV-18), è la terza portaerei della Marina Militare cinese (People’s Liberation Army Navy – Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese) in grado di ospitare velivoli ad ala fissa.

La Fujian segue le due portaerei CNS Liaoning (CV-16) e CNS Shandong (CV-17), basate sul design della classe Kuznetsov sovietica, ed è la sesta portaerei cinese in assoluto se contiamo anche altre tre, classe Tipo 075 da 35.000 tonnellate, unità d’assalto che schierano velivoli ad ala rotante e in un prossimo futuro, si ipotizza, anche velivoli a decollo corto ed atterraggio verticale.

Il Liaoning è stato commissionato da Pechino nel settembre 2012 dopo essere stato ricostruito in Cina per diversi anni a partire dall’unità navale dell’era sovietica Varyag, mentre lo Shandong è stato progettato e costruito a livello nazionale ed è entrato in servizio nel dicembre 2019. Sono portaerei della categoria STOBAR, che significa che i velivoli decollano dopo una breve corsa grazie ad un trampolino (sky-jump), ma possono appontare utilizzando i cavi d’arresto (STO – short take off + BAR – but arrested recovery).

Si dice che la costruzione della Fujian sia iniziata nel marzo 2015, più o meno nello stesso periodo in cui è iniziata anche la costruzione della Shandong portaerei da 67.000 tonnellate, anche se la portaerei Fujian ha impiegato il doppio del tempo per essere completata visto che il varo della Shandong è avvenuto solo due anni dopo, nel 2017. Probabilmente il fatto che il progetto dello Shandong fosse strettamente derivato da quello di due portaerei esistenti, la Liaoning e la portaerei russa Admiral Kuznetsov, così come la mancanza di caratteristiche complesse viste sulla Fujian, ne abbiano reso la costruzione molto più semplice.

La portaerei Fujian ha visto i suoi moduli spostati in bacino di carenaggio per la costruzione nel luglio 2020, con i sistemi di lancio delle catapulte e la sovrastruttura osservabili già dalla metà del 2021. Laddove la Shandong ha impiegato 32 mesi dopo l’avvio dei lavori per essere messo in servizio, si prevede che la Fujian potrebbe richiedere un tempo simile o più lungo.

La nave cinese introdurrebbe capacità mai viste prima, al di fuori dei programmi delle portaerei americane, con il suo ponte di volo senza il sistema di lancio ski-jump, visto sulle navi precedenti, ma con un sistema di lancio con catapulta elettromagnetica di tipo EMALS che dovrebbe rivoluzionare le capacità del suo gruppo imbarcato. L’uso di un tale sistema di lancio è stato annunciato per la prima volta nel 2013 e consentirà a velivoli molto più pesanti con più carburante e con più armamenti, di operare dal suo ponte di volo.

A parte la più piccola portaerei francese Charles De Gaulle sviluppata con il supporto americano, gli Stati Uniti e la Cina dovrebbero rimanere gli unici paesi a schierare portaerei con il sistema di lancio con catapulte che consente ai loro aerei di decollare con armi e carichi di carburante significativamente più pesanti. I sistemi elettromagnetici forniscono molta più potenza rispetto ai vecchi sistemi a vapore utilizzati sulle navi della classe Nimitz della Marina Militare degli Stati Uniti e sulla portaerei francese De Gaulle.

Così, a parte la classe americana Gerald Ford, portaerei che utilizzano lo stesso tipo di sistema di lancio, la Type 003 potrebbe avere un vantaggio significativo rispetto a tutte le altre classi di portaerei in termini di capacità della sua componente aerea imbarcata. Progettata con propulsione convenzionale anziché nucleare, si ipotizza che la nave sia destinata ad operazioni nel Pacifico, possibilmente oltre l’Asia orientale, nel Pacifico orientale. Inoltre le sue operazioni saranno in gran parte facilitate dai progressi compiuti dal settore della difesa cinese nella sofisticazione dei suoi aerei da combattimento, droni, cacciatorpediniere, navi logistiche e una serie di altre risorse che potrebbero esprimere a breve le capacità operative di un moderno gruppo navale occidentale.

Ora è incerto se verranno costruite più unità navali della classe Type 003 o se la Marina militare cinese prenderà in considerazione navi con sistemi di propulsione nucleare e possibilmente scafi più grandi quando cercherà di espandere ulteriormente la sua flotta di portaerei. La componente aerea della nave dovrebbe includere non solo caccia J-15B potenziati (una copia aggiornata del caccia russo Su-33) di “generazione 4++”, ma anche velivoli per l’allerta precoce KJ-600, caccia stealth basati sul design del FC-31, che ha fatto la sua prima apparizione nell’ottobre 2021, jet d’attacco elettronici J-15D e una gamma di droni per ruoli di ricognizione e combattimento.

Il lancio della porterei Fujian arriva in un periodo nel quale la Marina militare cinese sta utilizzando sempre più attivamente le sue portaerei esistenti, con operazioni simultanee nel Pacifico da parte delle due portaerei nel dicembre 2021 e con le operazioni del Liaoning vicino alle basi statunitensi di Okinawa nel maggio 2022 con più di 100 missioni dei suoi velivoli da combattimento e supporto. Si prevede che la Fujian fornirà una preziosa esperienza nella gestione di una super portaerei e del suo gruppo aereo, con la Marina militare di Pechino che potenzialmente potrebbe attende di addestrarsi a tali operazioni prima di mettere in campo la sua quarta portaerei.


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