Lo Spazio

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Phant » 29 maggio 2016, 19:09

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 22 giugno 2016, 19:11

Repubblica.it ha scritto: E' nata la rete internet dello spazio, primo nodo sulla ISS

La prima "pietra" è stata posata sulla Stazione spaziale internazionale. Presto ne verranno piazzati altri su satelliti o rover che passeggiano su pianeti. Sarà la rete per le comunnicazioni con le future colonie umane

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E' un evento planetario, nel senso pieno del termine. E' nata la prima rete internet dello spazio, un sistema di collegamento dati innovativo capace di mettere in comunicazione satelliti e missioni distribuite nell'intero Sistema Solare. La prima "pietra" (si tratta del primo nodo) è stata posata dalla Nasa sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) e sarà la base delle comunicazioni con le future colonie umane.

Dialogare con una sonda in orbita attorno a Plutone oppure un rover sulle lune di Saturno può essere un compito estremamente complicato a causa di continue interruzioni del segnale, disturbi dovuti al vento solare oppure al transito di un pianeta che oscura la comunicazione. Per risolvere il problema, anche in vista del sempre maggiore affollamento dello spazio interplanetario, la Nasa ha creato una nuova rete di comunicazioni basata su un protocollo innovativo. Per garantire che le comunicazioni di una sonda riescano sempre ad arrivare a destinazione la nuova rete spezzetta il segnale in tanti pacchetti indipendenti di dati che vengono riassemblati quando arrivano a destinazione. Una tecnologia detta Dtn (Delay/Disruption Tolerant Networking) simile a quella dei popolari BitTorrent e sviluppata con le maggiori istituzioni mondiali responsabili della creazione di Internet.

Nello spazio le comunicazioni dirette non sono sempre possibili e spesso bisogna attendere di avere una finestra di comunicazione che può essere anche molto ridotta. Con il nuovo metodo il problema viene invece aggirato perché, anche quando non è possibile dialogare in modo diretto con la Terra, i dati vengono inviati al nodo più vicino, ad esempio una sonda in orbita su un altro pianeta. Una volta ricevuto i dati, la sonda li immagazzina aspettando di trovare un altro nodo disponibile che a sua volta li riceve e li rimanda. Si crea così una rete su cui rimbalzano i dati fino a portarli a destinazione. La rete ha per ora un solo nodo, istallato sulla Iss, ma si prevede di trasformare le future missioni planetarie in altri nodi così da avere una vera rete.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 23 giugno 2016, 16:23

Analisi Difesa ha scritto: L’India porta in orbita 20 satelliti in 26 minuti

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Questa mattina l’India ha lanciato in orbita 20 satelliti e microsatelliti in una singola missione spaziale. Si tratta della più ambiziosa iniziativa del programma spaziale indiano, che conferma un ruolo di primo piano del Paese asiatico, già da anni potenza nucleare, nell’economia e nella tecnologia a livello mondiale. Kiran Kumar, presidente dell’Organizzazione sulla ricerca spaziale indiana (Isro), ha sottolineato la rilevanza della missione: “Ognuno di questi apparecchi immessi nello spazio condurrà le proprie attività in modo autonomo dagli altri. Essi avranno una vita meravigliosa durante il periodo di esistenza per cui sono stati progettati”.

Anche il premier Narendra Modi si è congratulato per la “monumentale riuscita dell’impresa”. Il razzo PSLV C-34 è partito dal centro spaziale di Sriharikota, in Andhra Pradesh, alle 9.26 di oggi (ora locale).

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A bordo trasportava tre satelliti fabbricati in India (di cui due frutto di progetti universitari) e altri 17 di produzione straniera, provenienti da Stati Uniti, Germania, Canada e Indonesia. L’intera missione di lancio è durata 26 minuti in tutto.

Fonti dell’Isro hanno precisato che il carico dei 20 satelliti e microsatelliti – di cui alcuni statunitensi, canadesi, tedeschi e indonesiani – era di 1.288 chilogrammi.

Tra i dispositivi espulsi dal missile, vi è il Cartosat-2, un satellite che sarà utilizzato per le osservazioni terrestri.

Le immagini che raccoglierà serviranno per sviluppare la cartografia, studiare le aree urbane, rurali e costiere, la distribuzione delle acque e altre applicazioni.

Un altro satellite, prodotto da Google, catturerà immagini e video ad alta definizione.

Il programma spaziale indiano ha fatto passi da gigante, se si considera che il primo lancio di un missile è avvenuto nel 1963. In quell’occasione il razzo era stato trasportato sulla piattaforma di lancio con una bicicletta.

Durante un’altra missione del 2008 l’India ha lanciato 10 satelliti. Il record di lancio del maggior numero di satelliti con una singola missione appartiene alla Nasa statunitense che tre anni fa ne ha immessi in orbita 29.

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Messaggio da Aviators » 26 giugno 2016, 21:36

Tom's Hardware ha scritto: SpaceX lancia due satelliti: il razzo si disintegra

Dopo quattro tentativi andati a buon fine, il razzo della SpaceX ha fallito un nuovo rientro sulla piattaforma in mare.

Il razzo della SpaceX ha fallito un nuovo rientro sulla piattaforma in mare al largo delle coste della Florida. Secondo Musk, si tratta dell'impatto più duro di tutti i tentativi fatti fino ad adesso. La causa sembra essere stata il malfunzionamento di uno dei motori che avrebbero dovuto far atterrare dolcemente il razzo.

Video: http://www.tomshw.it/news/spacex-lancia ... div_669839

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Messaggio da Aviators » 27 giugno 2016, 15:43

Repubblica.it ha scritto: Curiosity si avvicinerà all'acqua di Marte. Ma la osserverà da lontano per non contaminarla

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Due siti nei quali potrebbero comparire i ruscelli salmastri fotografati dal Mars reconnaissance orbiter si trovano ad appena otto chilometri di distanza dal rover della Nasa. Che scatterà immagini dettagliate a distanza di sicurezza (di qualche chilometri) per evitare il rischio derivante da batteri che potrebbe aver portato con sé dalla Terra

IL ROVER della Nasa Curiosity si avvicinerà al luogo dove potrebbe trovarsi l'acqua su Marte. L'obiettivo sarà quello di osservare (anche se a distanza di sicurezza) se e quando, durante la stagione calda, compariranno i rivoli salmastri fotografati dalla sonda Mars reconnaissance orbiter negli ultimi anni. Due siti potenzialmente interessanti distano appena otto chilometri dai cingoli del Mars science laboratory.

L'annuncio dato dall'agenzia spaziale americana a settembre 2015 aveva meravigliato il mondo: sul pianeta rosso si potrebbe trovare acqua allo stato liquido ancora oggi. Piccoli corsi che nelle immagini si mostrano come linee più scure e appaiono con il 'disgelò quando la temperatura si alza. Non esattamente acqua potabile, visto che la sua composizione dovrebbe consistere di una alta percentuale di sali che le permetterebbero di avere un punto di congelamento molto basso. A rendere la cosa più interessante il fatto che alcuni di questi rivoli stagionali (rsl, recurring slope lineae) potrebbero trovarsi davvero a pochi passi dal rover.

Curiosity dovrà però tenersi comunque molto distante. Il rischio è che possa contaminare un luogo che potrebbe ospitare la vita. Le probabilità che il robot possa aver portato con sé 'passeggeri indesiderati', leggi microrganismi, nel suo viaggio interplanetario è molto bassa. Ma non è possibile escluderlo del tutto. I protocolli sulla "planetary protection" sono infatti molto rigidi e la sterilizzazione di Curiosity non permette di ridurre queste probabilità a zero.

"Non è così semplice come guidare un rover su un sito e prendere un campione di suolo - spiga Jim Green, "director of planetary science" della Nasa - non solo (queste linee) si trovano su pendenze ripide, dobbiamo assicurarci di rispettare la "planetary protection". In altre parole: come possiamo cercare prove della vita senza contaminare i siti con microbi dalla Terra?". È stato dimostrato, infatti, che alcuni microrganismi possono resistere anche a condizioni estreme come quelle dello spazio.

La prevenzione dalla contaminazione extraterrestre è un tema normato da esattamente mezzo secolo, con l'Outer space treaty e la risoluzione Onu 2222 del 1966. Devono essere adottate tutte le misure possibili per evitare di contaminare un corpo extraterrestre che venga esplorato ma anche per non introdurre sul nostro pianeta forme di vita da altri luoghi del Sistema solare. L'imperativo è dunque quello di evitare il contatto diretto con queste "special region", che appunto potrebbero contenere tracce di acqua, considerato un prerequisito per la presenza di vita.

Cosa farà Curiosity? La Nasa ha stabilito che durante la sua ascesa sul Monte Sharp (Aeolis Mons), all'interno del cratere Gale, il rover scatterà immagini di un paio di luoghi che presentano quelle caratteristiche compatibili con la comparsa dei rivoli salmastri. Anche se manca la conferma delle rsl in prossimità del rover, a differenza di altri luoghi fotografati dall'orbiter nei quali sono molto più evidenti.

Ma quanto potrà avvicinarsi? "Questa è esattamente la domanda alla quale dobbiamo dedicarci subito" - sottolinea Catharine Conley, planetary protection officer della Nasa. La risposta è che Curiosity dovrà stare "a chilometri di distanza, così non dovrebbero esserci problemi. Se vogliamo avvicinarci molto di più abbiamo bisogno di capire molto in anticipo la capacità dei microrganismi terrestri di uscire dal rover, e quello ci dirà quanto distante dovrà rimanere".

In un report del Nac science commettee di marzo 2016, la minima distanza calcolata sul percorso di Curiosity sarà di circa 2,5 chilometri. Abbastanza per evitare il rischio contaminazione e sufficiente per ottenere immagini più nitide e definite di quelle prodotte dal Mars reconnaissance orbiter.

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Messaggio da Aviators » 18 luglio 2016, 12:09

HDBlog.it ha scritto: SpaceX ripete l'impresa: quinto razzo rientrato a terra

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Bisognerà fare spazio nell'hangar dove sono conservati i Falcon 9 che SpaceX è riuscita a far rientrare tutti d'un pezzo a terra, stanotte ne è rientrato infatti un quinto, questa volta atterrato comodamente a pochi km dal punto di partenza a Cape Canaveral, Florida. Il primo rientro avvenne a dicembre 2015, sempre a terra, ma i successivi tre hanno sfruttato la chiatta-drone in mezzo all'Oceano Atlantico.

Il drone, e questo tipo di atterraggi in mare, sono necessari quando i razzi devono raggiungere le orbite più lontane, con meno carburante quindi a disposizione per rientrare a terra. Adesso SpaceX ha il fantastico problema di dover trovare un altro hangar per i suoi razzi che rientrano, ma presto si cominceranno a rimandare in orbita e potrà così cominciare l'era del riutilizzo e del taglio reale dei costi.

Dopo due minuti e mezzo, il primo stadio del Falcon 9 ha cominciato il suo rientro ed effettuato con successo l'atterraggio. Di seguito l'intero boradcast, al minuto 24:40 circa la parte finale della discesa:




Pare che la scelta per lo storico tentativo di riutilizzo sia ricaduta sul secondo razzo, il primo tra quelli rientrati sulla chiatta-drone, con un possibile (nuovo) lancio già previsto per questo settembre/ottobre. Non è chiaro chi tra i clienti partner vorrà rischiare la prima volta, ognuno di queste partenze in orbita prevede infatti carichi di grande valore, da strumentazioni a satelliti e rifornimenti. In quest'ultimo caso, ad esempio, l'obiettivo è stato proprio quello di mandare rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per conto della NASA.

Il modulo Dragon si è sganciato con successo e arriverà sulla ISS soltanto mercoledì, ben 1700 kg di rifornimenti per gli astronauti e 930 kg di strumentazioni. Oltretutto questa sarà anche l'occasione per testare il nuovo aggancio International Docking Adapters (IDA) tramite cui la capsula Dragon si collegherà alla ISS, un nuovo standard approvato da molte delle agenzie spaziali

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Messaggio da Aviators » 14 agosto 2016, 19:06

Repubblica.it ha scritto: SpaceX, spettacolare lancio notturno: razzo atterra sulla piattaforma in mare

Un arco di luce ha diviso in due il cielo della Florida quando, nella notte tra il 13 e il 14 agosto, il razzo Falcon 9 della SpaceX è decollato dalla base di Cape Canaveral per portare in orbita il satellite per telecomunicazioni giapponese JCSAT-16 a una quota di oltre 38mila chilometri. Poco dopo il lancio il primo stadio del vettore ha fatto ritorno, con successo, sulla piattaforma marina. È il quarto rientro in mare per la compagnia di Elon Musk, il sesto in totale che permette il recupero del razzo per successive missioni

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Messaggio da Aviators » 3 settembre 2016, 18:05

Analisi Difesa ha scritto: Scoperta la cugina "oscura" della Via Lattea

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Astronomi statunitensi e canadesi hanno individuato una galassia pesante come la nostra ma che contiene solo l'1% di materia ordinaria. Un passo importante per studiare il ruolo della dark matter nell'evoluzione dell'Universo

ROMA. 99.99% di materia oscura. E' questa la curiosa “ricetta” di Dragonfly 44, una galassia a circa 300 milioni di anni luce da noi nella costellazione della Chioma di Berenice. Ma, per il team di astronomi che l'ha studiata, questa galassia non è solo interessante per la sua curiosa miscela di ingredienti. Le osservazioni hanno infatti mostrato che questa lontana isola cosmica è molto simile alla Via Lattea in termini di massa e dimensioni. Come sottolineano gli autori, si tratta di una situazione peculiare, perché le galassie ad alto contenuto di materia oscura note finora sono molto più piccole e meno massive di questa nuova “cugina" della nostra Galassia. La scoperta, pubblicata su The Astrophysical Journal Letters, apre scenari interessanti nello studio di uno dei maggiori misteri della cosmologia moderna. Gli autori suggeriscono che possa trattarsi di una “galassia fallita”, un'ipotesi senza dubbio interessante per capire il ruolo della materia oscura nell'evoluzione dei grandi ammassi stellari.
 
Sotto gli occhi di tutti
Questa galassia è stata per anni sotto gli occhi, o meglio davanti ai telescopi, di tutti senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Infatti Dragonfly 44 appare come una macchiolina chiara ma con pochissime stelle, e quindi quasi invisibile. Per scovarla è stato necessario uno strumento apposito, il Dragonfly Telephoto Array, un sistema multiplo di potenti teleobiettivi capace di catturare le immagini di oggetti celesti molto deboli. Lo strumento, ideato da Pieter Van Dokkum dell'Università di Yale e Roberto Abraham dell'Università di Toronto, ha permesso di scoprire molte galassie estremamente deboli e diffuse, denominate Udg (Ultra Diffuse Galayes). Fra queste, Dragonfly 44 ha subito meritato un'attenzione particolare da parte degli astronomi.

Un team coordinato dallo stesso Van Dokkum ha quindi osservato la galassia con lo strumento Deimos installato nel telescopio Keck II, sulla sommità del vulcano Mauna Kea, alle Hawaii. Grazie a Deimos è possibile riprendere simultaneamente lo spettro di molte stelle presenti nella galassia e determinarne le caratteristiche e la velocità nello spazio. Siccome il moto delle stelle dipende dal campo gravitazionale, e quindi dalla massa, della galassia, misurando le velocità stellari il team ha potuto così “pesare” Dragonfly 44.

“Sorprendentemente, le stelle si muovono da velocità molto maggiori di quanto ci si aspetta per una galassia così debole”, spiega Abraham, “ questo significa che Dragonfly 44 ha una grande quantità di massa non invisibile”. Gli astronomi hanno poi osservato la galassia con il telescopio da 8 metri Gemini Nord, anch'esso installato sul Mauna Kea, che ha permesso di evidenziare una popolazione di un centinaio di ammassi globulari nell'alone della galassia. Dalle osservazioni risulta che Dragonfly 44 ha una massa di circa 700 milioni di masse solari, dello stesso ordine di grandezza della nostra Via Lattea.
 
Una galassia fallita?
Confrontando questa “peso” cosmico con il numero di stelle osservate, gli astronomi hanno concluso che la materia visibile è solamente l'1% della massa totale, e che quindi la galassia è composta quasi totalmente di materia oscura. Gli autori sottolineano che non è strano trovare galassie così “oscure”, ma di solito si tratta di oggetti almeno 10 mila volte meno massivi di Dragonfly 44.

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“Non abbiamo idea di come possano essersi formate galassie come Dragonfly 44”, ha commentato Abraham, “I dati di Gemini mostrano che gran parte delle stelle è in ammassi molto compatti, e questo è probabilmente un indizio importante”. Una possibile interpretazione è che Dragonfly 44 sia una galassia “fallita”, per qualche ragione incapace di sviluppare nel corso della sua evoluzione una popolazione stellare più ampia.

Sebbene restino misteri su questa “Via Lattea oscura”, gli astronomi sono determinati a trovare altre galassie simili. L'obbiettivo infatti è capire la natura della materia oscura, che compone circa l'85% della massa dell'intero Universo. Non è chiaro ad esempio da quali particelle sia costituita, se da particelle note oppure da tipologie più esotiche e ancora mai osservate. Ed è proprio qui che si gioca la sfida più grande, come ricorda Van Dokkum, “E' partita la gara per trovare galassie oscure massive che sono ancora più vicine a noi di Dragonfly 44, in modo che possiamo cercare i deboli segnali che possano rivelare una particella di materia oscura”.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 7 settembre 2016, 16:01

Tom's Hardware ha scritto: Stasera un asteroide sfiorerà la Terra dopo le 19

Questa sera un piccolo asteroide passerà a 34.100 km dalla Terra: ecco la foto scattata dall'Osservatorio Schiaparelli di Varese.

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L'asteroide 2016 RB1 transiterà a circa 34.100 km dalla Terra alle 19.19 italiane di oggi, 7 settembre. Scoperto due giorni fa dal Catalina Sky Survey in Arizona, uno degli Osservatori professionali più prolifici in questo campo, si tratta di un piccolo asteroide che misura circa 10 metri di diametro. A fare notizia è il fatto che passerà più vicino a noi della fascia dei satelliti meteorologici geostazionari.

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Il confronto più immediato è con il piccolo asteroide 2016 QA2, di circa 30 metri di diametro, che la notte del 28 agosto scorso passò a circa 80.000 km di distanza: molto vicino alla Terra, ma comunque a più del doppio di quella del corpo celeste che ci sfiorerà questa sera.
Il nostro Osservatorio è riuscito a riprendere l'asteroide questa notte, dalle ore 01.10 alle ore 02.25. I dati sono stati trasmessi sia al Minor Planet Center, l'ente statunitense che raccoglie i dati degli asteroidi del Sistema Solare, sia al team radar della NASA, che si occupa di osservare asteroidi pericolosi con i grandi radiotelescopi.
La tecnica radar è infatti l'unica che riesce a stimare distanza, dimensioni, forma e rotazione degli asteroidi vicini alla Terra, con una precisione senza eguali. Per puntare le enormi antenne servono però in maniera continuativa i dati precisi sulla posizione dell'asteroide, e qui è dove entra in campo l'attività del nostro Osservatorio. I risultati delle osservazioni radar saranno disponibili già da questa notte.
L'immagine che pubblichiamo è la somma di 50 pose da 5 secondi l'una, quando l'asteroide si trovava a circa 434.000 km dalla Terra, poco più della distanza che ci separa dalla Luna. Il piccolo corpo celeste è il luminoso puntino vicino al centro; a causa della somma di immagini, le stelle risultano strisciate.
Fa un certo effetto pensare come sia possibile, con telescopi di medio diametro ed opportune tecniche, vedere un "sasso" delle dimensioni di 10 metri già oltre la Luna. In caso di impatto con la Terra l'asteroide sarebbe frantumato dal contatto con l'atmosfera terrestre, come è successo nel febbraio 2015 con l'asteroide esploso sopra i cieli della Siberia.
L'Osservatorio Schiaparelli di Varese è attivo in ambito scientifico tutte le notti serene, e il telescopio da 60 cm sarà presto affiancato dal più grande e moderno 84 cm, con il quale saremo in grado di osservare asteroidi ancora più piccoli e lontani.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 13 settembre 2016, 21:06

Tom's Hardware ha scritto: Gli incredibili materiali che usiamo per andare nello Spazio

Ceramica flessibile, vetro indistruttibile, leghe di metallo e tessuti resistenti a ogni cosa. Tutto è necessario per portarci e farci restare a lungo nello Spazio, sia in orbita che molto lontano dalla Terra. Ecco alcuni dei materiali che lo rendono possibile.

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Cosa ci vuole per fare una tuta spaziale? Qual è il materiale migliore per una capsula da mandare in orbita? La scienza dei materiali è quella disciplina che può dare risposte a domande simili, portando alla creazione di nuove strutture che poi, spesso e volentieri, dallo spazio scendono sulla terraferma e trovano posto in oggetti che usiamo tutti i giorni.
Ciò che ci ha reso possibile e ci rende possibile esplorare l'Universo sono i materiali compositi avanzati, vale a dire l'unione di due o più materiali. Possono essere di diversi tipi e forme: a strati, tessuti o leghe - queste ultime hanno la caratteristica di essere un composto uniforme.

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Grande protagonista di questa scienza è la ceramica. Tendiamo a pensarla come una materiale duro ma molto fragile, ma se, per esempio, la scaldiamo a temperature altissime possiamo ottenerne delle fibre flessibili che non prendono fuoco. Vengono usate per realizzare coperture in grado di assorbire gli urti, e sono anche un efficace ritardante di fiamma. E ci si possono fare dei tessuti.
Se alla ceramica uniamo il vetro otteniamo la vetroceramica, un materiale che molti di noi hanno in tasca. È infatti alla base del Gorilla Glass, il vetro super resistente che protegge molti smartphone. Si realizza unendo vetro fuso a particelle di ceramica droganti, solubili ad alte temperature. Quando si raffredda si ottiene un materiale cristallino fino al 99%. Abbiamo quindi la trasparenza del vetro e la resistenza della ceramica. Ritroviamo un materiale simile usato per i finestrini delle navette e della Stazione Spaziale Internazionale.
Il drogaggio è un processo che consiste nell'inserire una piccola percentuale di un materiale diverso. In questo modo si alterano le proprietà chimiche, ottenendo un diverso comportamento elettrico, meccanico o chimico. Questo procedimento permette di sfruttare una o più caratteristiche del materiale drogante, evitando però le difficoltà o i costi che comporta l'uso del materiale puro.
Proprio le finestre delle navette spaziali è il campo in cui la scienza dei materiali ha dato un grande contributo. Si usa molto il silice (diossido di silicio), un materiale relativamente noto e diffuso. Alcuni di noi invece ritengono che sia ancora fantascienza l'alluminio trasparente, un materiale che invece esiste ed è prodotto da alcune aziende del mondo - ognuna ha la sua "ricetta". Può servire per le finestre spaziali, ma anche per fare bottiglie infrangibili o protezioni antiproiettile leggere e, appunto, trasparenti.

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Quando si mischiano diversi metalli si parla di realizzare delle leghe - la maggior parte di noi ne ha almeno sentito parlare a proposito dei cerchioni delle auto o il telaio della bicicletta. Una lega è una fusione omogenea di due o più metalli. Come il bronzo per esempio, che unisce rame a un altro metallo ed è forse la lega più antica conosciuta dall'uomo - il suo nome è usato anche per indicare un periodo storico (3.500 - 1.200 a.c., in Europa).
In ambito spaziale è notevole l'uso di una lega Alluminio-Niobio, che ha una temperatura di fusione talmente alta da resistere al calore generato dai motori di Falcon 9 - grazie anche a un notevole sistema di raffreddamento, ovviamente. Le leghe a base di metallo e ottone, invece, si rivelano utili perché non si ossidano - non arrugginiscono - qualsiasi sia la condizione a cui le possiamo esporre.

Le tecniche di drogaggio oggi sono diventate incredibilmente precise, al punto che è possibile inserire variazioni grandi un solo atomo. Questa enorme precisione è determinante per creare leghe ad alta entropia, materiali scoperti di recente e che di solito sono l'unione di almeno 5 diversi elementi. Estremamente resistenti e duttili, sono ideali per realizzare oggetti che devono resistere a un lancio e poi restare in orbita.

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Nel caso della sonda Juno, per esempio, sono stati usati il tantalio e il tungsteno come elementi droganti nella realizzazione di una speciale camera antiradiazioni. Uno spazio che ospita circuiti che altrimenti sarebbero danneggiati e non potrebbero funzionare nello Spazio.

La camera antiradiazioni di Juno è quasi interamente in titanio, e anche questo dettaglio rappresenta un esperimento importante per la sonda che sta osservando Giove. Perché se è chiaro che non si può costruire un'astronave senza metterci dentro dei computer, lo è anche il fatto che l'elettronica va protetta dalle radiazioni se vogliamo sperare di costruire mezzi che restino nello Spazio a lungo e che siano anche di dimensioni sufficienti per trasportare un equipaggio umano.  
Questi materiali permettono anche di realizzare isolamenti multi livello (MLI), che proteggono sia termicamente che elettricamente. Sono quel tipo di isolamento che danno un aspetto "dorato" ai veicoli che mandiamo nello spazio.

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SpaceX usa materiali compositi rigidi che uniscono fibra di carbonio e metallo in una struttura a nido d'ape molto resistente. Gli stessi materiali compositi però non devono essere necessariamente rigidi, come dimostra il modulo gonfiabile BEAM della ISS. Una struttura flessibile e gonfiabile realizzata con un materiale che si chiama beta cloth, una fibra a base di silice. Il modulo BEAM include persino delle finestre, che a loro volta sono fatte di diversi materiali - principalmente fibra di vetro e teflon. È praticamente impossibile tagliare o anche solo graffiare il beta cloth del BEAM, che resiste alla corrosione dell'ossigeno atmosferico. Gli scienziati sono riusciti a intaccarlo sparandoci contro un laser.
Per le tute spaziali più recenti si preferisce invece il più simile Chromel-R, un tessuto che è sostanzialmente fatto di fili metallici, per la precisione una lega di nickel, cromo, ferro e silicio. E sono proprio le tute spaziali il terreno più fertile per lo sviluppo di materiali compositi flessibili: sovrapponendo alcuni strati di materiali diversi si ottiene un prodotto finale che può resistere a molte cose ma che è allo stesso tempo flessibile e relativamente leggero.
Ceramica flessibile (flexiramic), Darlexx, un cuscino ottenuto con un fluido non newtoniano, uno strato ceramico antiurto: questi e altri materiali uno sopra all'altro creano una tuta spaziale che è praticamente un'armatura a prova d'incendio, a cui manca solo il casco. Ed è possibile oggi.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 14 settembre 2016, 12:36

Focus.it ha scritto: Come funzionano le assicurazioni dei razzi spaziali?

In caso di incidente spaziale, chi paga i danni? Esistono assicurazioni per i veicoli che vanno nel cosmo? E quanto costano?

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L’incidente occorso al Falcon 9 di SpaceX lo scorso 1 settembre ha portato alla luce una questione forse venale ma non trascurabile, strettamente legata al proliferare dei voli spaziali commerciali: se qualcosa va storto, chi paga?
Il razzo di Elon Musk stava infatti portando in orbita un satellite israeliano di proprietà della Spacecom del valore di 195 milioni di dollari, andati letteralmente in fumo al momento dell’incidente.
La questione su chi deve rimborsare chi è piuttosto complessa e coinvolge un’intricata ragnatela di contratti tra agenzie spaziali, costruttori del satellite, trasportatori, futuri utilizzatori (tra cui Facebook e la NASA) e, ovviamente, la stessa SpaceX.
Ma responsabilità a parte, che dovranno essere accertate senza ombra di dubbio prima che qualcuno sganci un centesimo, la vicenda ha portato alla luce l’inadeguatezza degli attuali strumenti assicurativi rispetto a un mercato che sta nascendo proprio in questi anni, spiega un articolo  di Tim Fernholz su Quartz.

Le regole dei privati. Fino ad oggi infatti i principali protagonisti della corsa allo spazio sono stati i governi, proprietari sia dei satelliti sia dei sistemi di lancio e messa in orbita. Una protezione finanziaria che tutelasse gli investimenti in caso di incidente non è mai stata una priorità della politica.
In effetti assicurare le attività spaziali è piuttosto complesso: il normale business delle assicurazioni si basa sulla prevedibilità matematica di certi eventi basata su grandi volumi. Per esempio, nel caso delle polizze furto, sulla probabilità che un appartamento in una certa zona possa essere svaligiato dai ladri.
Il business dello spazio è l’esatto opposto: ogni anno si registrano poche decine di eventi (i lanci) il cui valore unitario è altissimo e dove i modelli di previsione del rischio sono inapplicabili.

Conti in rosso. Gli ultimi anni non sono stati particolarmente felici per le compagnie che hanno assicurato le missioni spaziali: secondo i dati pubblicati dall’ OCSE solo nel 2013 hanno dovuto pagare 800 milioni di dollari di indennizzi contro 775 di premi raccolti.
Principale voce di costo i 3 satelliti per telecomunicazioni andati persi nel Pacifico a causa di errore dei sensori di guida del razzo russo Proton che li stava portando in orbita. E gli anni precedenti non sono andati certo meglio.
Ciò che viene comunemente assicurato in questo business non sono i vettori spaziali, che a parte SpaceX sono solitamente “monouso”, ma il carico tecnologico che portano nello spazio: non solo l’hardware e il software di satelliti e apparecchiature varie ma anche il valore dei contratti legati all’uso che ne faranno altre aziende, per esempio le televisioni o gli operatori di telecomunicazioni.
Le polizze che vengono comunemente sottoscritte in questo mercato sono due: polizze di lancio, che coprono il satellite dal momento dell’accensione dei motori fino a quando viene messo correttamente in orbita, e poi polizze “orbitali” che tutelano gli operatori da eventuali guasti (se cade la connessione via satellite durante la finale di mondiali di calcio qualcuno deve rimborsare telespettatori e investitori pubblicitari).

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Clausoletta maledetta.  Da notare che questo tipo di polizze non copre le operazioni immediatamente precedenti al lancio come il test dei motori che ha causato l’esplosione dell’ultimo Falcon 9.
Ma va anche sottolineato come nessuno sia solito imbarcare il carico sui vettori spaziali in questa fase della procedura di lancio: l’unica a farlo sembra sia proprio Space X, con l’obiettivo di ridurre i tempi morti e le attese. Ma quindi? I LLoyds che hanno assicurato il satellite israeliano, rimborseranno mai la Spacecom?
L’azienda è convinta di sì, perchè la polizza da 285 milioni di dollari sottoscritta con la compagnia londinese li copre contro ogni evenienza, prima e dopo il lancio.

Giro gratis. SpaceX dal canto suo si è detta disponibile a risarcire Spacecom dei 50 milioni di dollari del contratto di messa in orbita o a offrire all’azienda un trasporto gratuito nel futuro. La questione ora è meramente economica.
Gli incidenti nella fase di prelancio sono rarissimi, l’ultimo risale al 1959, ma quello del 1 settembre ha gettato l'intera industria aerospaziale nello scompiglio. A meno che SpaceX non riveda le proprie procedure e riesca a convicere tutti che il problema non si ripeterà,  c'è il rischio concreto di un’impennata dei premi assicurativi che potrebbe mettere in crisi l’intero mercato.
E quindi lo stesso business di SpaceX che, oltretutto, riciclando i razzi espone i carichi dei propri clienti a rischi più elevati.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 15 settembre 2016, 12:55

Repubblica.it ha scritto: La Via Lattea in 3D: ecco il primo censimento stellare di Gaia

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I primi risultati del satellite dell’Agenzia Spaziale Europea, che vede una forte partecipazione italiana. Un enorme archivio stellare che aiuterà a mappare la nostra Galassia con un dettaglio mai raggiunto prima

A PRIMA vista, sembrano tanti granelli di sabbia. Granelli che, visti tutti insieme, disegnano una porzione della Via Lattea, la Galassia in cui viviamo. Ma se li guardiamo bene, scopriamo che quei granelli sono in realtà stelle, molte delle quali simili al nostro Sole. E' questa la prospettiva, davvero astronomica, che potremo avere grazie alla missione Gaia dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). Nel corso di una conferenza stampa al centro Esa ESTAC presso Madrid, il team di Gaia ha infatti reso pubblici i primi risultati della missione, basati sulle osservazioni condotte nel primo anno di osservazioni. Un ricco bottino da circa un miliardo di stelle, di cui sono state misurate la posizione e la luminosità con precisione senza precedenti. Oltre a questa mappatura galattica, gli scienziati di Gaia hanno annunciato altri risultati, come la misura del moto di circa due milioni di stelle e il monitoraggio di tremila stelle variabili. Questo primo censimento stellare è stato accompagnato da un cospicuo numero di articoli scientifici, in cui il team discute i principali risultati prodotti dall'analisi delle osservazioni.

Ma questa valanga di risultati è solo la punta dell'iceberg: Gaia, che vede un'ampia partecipazione italiana, è progettata per osservare il cielo nel corso di cinque anni, e costruire così il più grande archivio stellare mai realizzato. I dati prodotti saranno fondamentali per diversi campi dell'astrofisica, dallo studio della materia oscura alla ricerca di asteroidi potenzialmente pericolosi.

Cartografia stellare. Lanciata nel dicembre del 2013, Gaia è una missione dedicata all'astrometria, quel settore dell'astronomia dedicata alla misura delle posizioni, distanze e velocità delle stelle. Fin dall'antichità infatti, gli astronomi hanno sempre studiato la posizione delle stelle in cielo, per comprenderne i movimenti e il loro ruolo nell'evoluzione galattica. Una tradizione che si è consolidata con la realizzazione di apposite missioni astrometriche, come il satellite Hipparcos dell'Esa, che ha osservato il cielo dal 1989 al 1993, producendo un catalogo con più di 100 mila stelle.

Ora è il turno di Gaia, che realizzerà misure con una precisione almeno 200 volte maggiore rispetto a Hipparcos. E, con misure così precise, aiuterà gli astronomi a rispondere a molte domande aperte nella moderna astronomia. Misurando la posizione e il modo delle stelle potrà contribuire a ricostruire la storia della Via Lattea e a determinare quanta sia la materia oscura contenuta in essa. Sarà inoltre possibile scovare nuovi pianeti extrasolari, misurando le piccolissime perturbazioni indotte sul moto della stella principale. Monitorando costantemente il cielo, Gaia riuscirà poi a scoprire nuovi asteroidi e a tenere sotto controllo quelli più pericolosi.

Le sfide di Gaia. Ma la missione Gaia ha uno scopo ben più ambizioso. Nel corso dei suoi cinque anni di osservazioni, questa missione da 740 milioni di euro (450 solo per il satellite), ci consentirà di misurare con altissima precisione la posizione di più di un miliardo di stelle fino alla quindicesima magnitudine, ovvero 4 milioni di volte più deboli di Sirio, la stella più brillante del cielo. Per ciascuna stella, Gaia ne misurerà la posizione con una precisione di 20 milionesimi di secondo d'arco, più o meno le dimensioni angolari della capocchia di uno spillo sulla superficie lunare.

Misurando anno dopo anno la posizione di queste stelle, Gaia potrà determinarne il movimento nello spazio, determinarne la distanza tramite la parallasse, e potrà inoltre monitorare le variazioni di luminosità nel corso del tempo. La costruzione e realizzazione di una missione così complessa è stata una sfida tecnologica sotto diversi aspetti, come spiega Mario Lattanzi, dell'Inaf-Osservatorio Astronomico di Torino, responsabile italiano per Gaia: ''Prima di tutto la realizzazione e le operazioni in un'orbita così lontana: Gaia è a 1.5 milioni di chilometri dalla Terra, nel punto Lagrangiano L2 del sistema Terra-Sole, in un ambiente non protetto dal plasma solare. Ci sono poi gli strumenti scientifici, telescopi e specchi compresi, realizzati in carburo di silicio per assicurare la massima stabilità termica e il mantenimento della stessa durante tutta la vita operativa, e infine la realizzazione del sistema per il calcolo ad alte prestazioni, in particolare dei sei centri di analisi dati, qualcosa di mai realizzato prima in Europa''.

''Oggi non vengono solo rilasciate le prime immagini della Via Lattea ripresa dal satellite Gaia – aggiunge la Responsabile Osservazione e Esplorazione dell’Universo dell'ASI, Barbara Negri – ma soprattutto l’immensa moli di dati fin qui raccolti. Da adesso la comunità scientifica potrà avere accesso a questi dati che appaiono essere molto, molto promettenti''.

Il primo censimento stellare. La prima versione del catalogo di Gaia contiene i risultati delle osservazioni condotte dal 25 luglio 2014 al 16 settembre 2015, e fornisce le prime misure accurate di posizione e di luminosità per circa un miliardo di stelle. Ma questo gigantesco archivio è solo una delle novità annunciate oggi, commenta Lattanzi.
''Senza dubbio i moti e le distanze delle circa 2 milioni di stelle più brillanti della magnitudine 12 (cioè fino 250 volte più deboli delle stelle visibili a occhio nudo), che facevano parte delle stelle osservate da Hipparcos, e 110 mila fino alla magnitudine V=9.5, con precisioni maggiori, di circa un millesimo di secondo d'arco".  Già con questo primo anno di osservazioni, Gaia consente di triplicare la precisione delle misure di distanze stellari rispetto al passato. ''Un dato che permettere di espandere già ora il volume attorno al sole per le indagini astrofisiche e galattiche più sofisticate di un fattore 30, fino a 300 parsec'', spiega Lattanzi. Inoltre sono state pubblicate le misure di luminosità di circa 3000 stelle variabili, un decimo delle quali scoperte proprio da Gaia.

L'Italia protagonista. Gli scienziati italiani sono in prima fila nella realizzazione della missione e nello sfruttamento dei dati scientifici. L'Italia infatti partecipa, attraverso l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC), con un contributo importante in diversi settori.
In particolare, gli scienziati italiani hanno avuto un ruolo di primo piano già in questo primo catalogo: il team dell'INAF-Osservavorio Astronomico di Bologna ha realizzato il software di calibrazione e di analisi per ottenere le luminosità stellari. Il team di Bologna, insieme ai ricercatori dell'Osservatorio di Napoli, si sono inoltre occupati dello studio di alcune classi di stelle variabili, come le Cefeidi e le RR-Lyrae. I test sulla qualità scientifica delle misure di posizione e di luminosità sono poi state affidate agli scienziati dell'Osservatorio di Padova e di Torino. I dati prodotti sono poi stati inseriti presso l'Asi Science Data Center (ASDC), il centro dati dell'Agenzia Spaziale Italiana, che ospita non solo l'archivio di Gaia ma anche una serie di strumenti software per l'estrazione e lo sfruttamento scientifico dei dati di Gaia.

Questo è solo il primo ''capitolo'' del grande catalogo stellare che realizzerà Gaia nei suoi cinque anni di osservazioni. Ma già da oggi gli scienziati di tutto il mondo andranno a indagare fra tutte quelle stelle per riuscire a scoprire meglio il passato e l'identità stessa della nostra Galassia.

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 15 settembre 2016, 19:59

Tom's Hardware ha scritto: SpaceX, i Falcon 9 potrebbero riprendere il volo a novembre

I lanci dei razzi Falcon 9 di SpaceX potrebbero riprendere a novembre, a soli 3 mesi dall'incidente.

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SpaceX sta lavorando per riportare in volo i Falcon 9 a novembre.Dopo l'esplosione del 1 settembre in cui sono andati in fumo un Falcon 9 nuovo di zecca e il satellite per le telecomunicazioni AMOS 6 dell'israeliana Spacecom, il caso è tutt'altro che chiuso ma Musk intende riprendere le missioni il più velocemente possibile.

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Da una parte gli esperti continuano a indagare sull'incidente, e nei giorni scorsi c'è anche stato un appello social a fornire tutto il materiale foto e video registrato a Cape Canaveral, che potrebbe rivelare dettagli utili che non emergono dal materiale già in possesso degli inquirenti. Dall'altra i tecnici stanno passando in rassegna tutti i dati raccolti dai computer alla ricerca delle cause dell'incidente.
Ma quello che si prospettava come un possibile lungo stop potrebbe essere più breve del previsto. Gwynne Shotwell, presidente di SpaceX, durante una conferenza del settore satellitare a Parigi ha affermato che l'azienda sta cercando di "tornare a volare nel periodo di novembre", ma ha ammesso che una ripresa in soli tre mesi dall'incidente sarebbe lo scenario più ottimistico.

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Shotwell non ha aggiunto dettagli circa eventuali modifiche da apportare al razzo, e non ha comunicato l'ammontare dei danni che l'esplosione ha causato alla piattaforma di lancio, che come avevamo spiegato ha un peso importante nella ripresa dei voli.  
Shotwell ha però confermato che il primo volo non potrà comunque decollare dal Launch Complex 40 di Cape Canaveral, che necessita di riparazioni. I siti candidati per il lancio sono la piattaforma di SpaceX presso la Vandenberg Air Force Base, o il Launch Complex 39A, sempre a Cape Canaveral - ossia l'ex sito di lancio degli Space Shuttle che SpaceX ha in affitto dalla NASA.
Come avevamo già spiegato, quest'ultimo sarebbe pronto entro novembre e sarebbe in grado di lanciare sia i Falcon 9 sia i Falcon Heavy, ma un suo impiego ritarderebbe probabilmente i voli di test dei Falcon Heavy che dovrebbero prendere il via entro la fine dell'anno.
Una fonte vicina a SpaceX avrebbe confermato che la rampa di lancio del Kennedy Space Center sarebbe attrezzata per un Falcon 9, non per il volo di debutto del Falcon Heavy come precedentemente previsto.
Intanto arrivano messaggi confortanti dalla NASA: Tom Engler, vice direttore del Centro di Pianificazione e Sviluppo del Kennedy Space Center, ha spiegato all'agenzia Reuters che "dal nostro punto di vista (l'incidente) non ha cambiato nulla per quanto riguarda le nostre attività di pianificazione e di implementazione".

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 16 settembre 2016, 18:44

Focus.it ha scritto: La nuova stazione spaziale cinese è in orbita

Lanciato con successo un modulo della nuova stazione spaziale cinese che a ottobre ospiterà due astronauti per circa un mese.




La Cina ha lanciato con successo la stazione orbitale Tiangong-2 (Palazzo del Paradiso in italiano). Una volta nello Spazio, la Tiangong-2 ha aperto suoi pannelli solari e ha iniziato le complesse manovre di stabilizzazione e progressivo innalzamento dell’orbita.
 
A differenza della Stazione Internazionale, quella cinese non potrà essere ampliata. È un modello del tutto simile a Tiangong-1 (lanciata nel 2011) ed è stata costruita per fare le prove generali della vera e propria stazione spaziale permanente cinese che dovrebbe prendere il via attorno al 2020. Tra un anno o poco più, infatti, anche Tiangong-2 verrà fatta rientrare nell’atmosfera terrestre dove brucerà.

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PRESTO GLI ASTRONAUTI. Una volta che Tiangong-2 raggiungerà l’orbita preposta, verrà visitata da una missione umana che partirà a bordo di Shenzhou-11 intorno alla metà di ottobre. A bordo vi saranno due taikonauti (così si chiamano gli astronauti cinesi) che vi rimarranno per circa 30 giorni. Durante tale periodo si dedicheranno alla verifica della stazione orbitante e agli esperimenti che saranno già presenti a bordo di Tiangong-2. La seconda missione umana  dovrebbe partire nella prima metà del 2017.
 
Tiangong verrà posizionata ad una quota di circa 380 chilometri, più o meno la stessa della Stazione Spaziale Internazionale.
 
Questo lancio è un ulteriore passo della Cina nella colonizzazione dello spazio sia attraverso robot che attraverso uomini. Il Paese non nasconde l’interesse del voler colonizzare la Luna per estrarre minerali di notevole importanza economica ed è per questo che una stazione spaziale ove sperimentare lunghe permanenze nello spazio è di importanza primaria

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Re: Lo Spazio

Messaggio da Aviators » 22 settembre 2016, 20:39

Ilmessaggero.it ha scritto: Vega, ancora un successo per il razzo lanciatore italiano: completate 7 missioni su 7

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Vega, Vega, Vega: da Colleferro a Lima a Montain View, sede di Google in California, è tutto un levare di calici e uno scrosciare di applausi per l'ennesimo successo del razzo Vega di Avio che, dopo il decollo alle 3.43 di oggi, venerdì, dalla base di Kourou nella Guyana Francese, ha scodellato in orbita cinque satelliti su quote diverse: 7 missioni, 7 vittorie impeccabili, 7 dimostrazioni di versatilità senza uguali. Nessun razzo lanciatore, da quando è cominciata la corsa allo spazio alla fine degli anni Cinquanta,  ha mai fatto registrare un cammino così immacolato. E quasi il 70% di Vega, compresa l'idea originale, è italiano, con lo stabilimento di Colleferro di Avio che fa la parte del leone in questa storia di conquiste dello spazio, ovvero di conquiste di conoscenza e di fette sempre più corpose nel gigantesco business della messa in esercizio dei satelliti che, insieme alle grandi agenzie nazionali, ha attirato infine l'attenzione di un crescente numero di magnati tra i quali Bezos di Amazon e Musk di Tesla.




QUEL "FRATELLI D'ITALIA" DEL PRIMO LANCIO
Sono passati in fretta i primi quattro anni di Vega: il 13 febbraio 2012 il primo lancio effettuato alla perfezione dopo aver esaurito le scorte di scaramanzie perché questi debutti compartono intoppi mediamente nel 50% dei casi.
Un decollo indimenticabile anche perché non avvenuto nella notte, ma alle prime luci dell'alba con il sole che sorgeva sull'Atlantico e vissuto dai tecnici dell'Avio Spazio di Colleferro in trasferta nella Guyana da una piazzola con vista sulla rampa di lancio e ricavata dai buldozer nell'impenetrabile giungla amazzonica verde smeraldo presidiata dai massicci soldati della Legione Straniera.

Una soddisfazione allora intonare "Fratelli d'Italia" tutti insieme, ingegneri, tecnici e cronisti, in quell'alba luminosa sul territorio d'oltremare francese mentre il razzo made in Italy metteva a segno il primo successo. Una soddisfazione che non si è mai interrotta, come quella che si prova ogni volta quando si sente pronunciare, sia pure con storpiature assortite, "Colleferro" dagli speaker della base e delle tv di tutto il mondo per ricordare le radici di Vega. Colleferro, insomma, voce fissa nel dizionario dello spazio fra altri vocaboli quali Nasa, Roscosmos, Esa, Asi, Cape Canaveral, Bajkonur.  E anche oggi, alle 5.26, gli applausi che hanno salutato nella sala di controllo Jupiter il collocamento dell'ultimo satellite decretando la riuscita della missione, sono riecheggiati fino alla Valle del Sacco.

CINQUE SATELLITI
Dop il primo lancio, anno dopo anno, la puntuale replica del successo una missione dopo l'altra. Il settimo Vega è stato lanciato nella notte italiana con cinque satelliti. Il volo è il primo totalmente commerciale del lanciatore dell'Agenzia spaziale europea (Esa) progettato, sviluppato e realizzato in Italia dalla Avio attraverso la controllata Elv, partecipata al 30% dall'Agenzia spaziale italiana (Asi).

Tutti i cinque satelliti a bordo sono dedicati all'osservazione della Terra. Quattro fanno parte della costellazione Terra Bella, una società sussidiaria di Google di Mountain View che ha raccolto l'eredità di GoogleEarth, per sempre da ringraziare per aver mappato la Terra e averci dato la possibilità da ormai quindici anni di zoomare gratuitamente ogni angolo del pianeta. Era da vertigini, le prime volte, avventurarsi in quel programma che ti permettava di sorvolare in un clic tutti i continenti e anche di scoprire, finalmente, come era fatta la piscina del vicino di casa, o di avere la certezza che certi edifici erano stati costruiti dove non era consentito.

Il quinto satellite di questa missione è PeruSat-1, il primo satellite peruviano, sviluppato dalla Ads per l'agenzia spaziale peruviana Conida. "Vale un Perù" non si sente dire quasi più ma in questo caso, con un tale business in ballo, sarebbe azzeccatissimo.

I cinque satelliti erano stati raccolti nell'ogiva di Vega grazie alla nuova versione del dispositivo di adattamento Vespa (Vega Secondary Payload Adaptor) realizzato dalla Avio e utilizzato per la prima volta in questo lancio. Una prerogativa del razzo in gran parte italiano è appunto quella di poter collocare durante lo stesso lancio più satellite in orbite differenti innescando un forte risparmio dei costi che si traduce in competitività sul mercato sempre più affollato dei lanciatori in cui sono via via entrati anche indiani, giapponesi e cinesi


Questo lancio "inaugura anche la fase commerciale, per la quale Avio ha già siglato un contratto con Arianespace da circa 260 milioni di euro per dieci lanciatori", rileva la stessa Avio in una nota. I satelliti di Terra Bella pesano meno di un quintale e hanno le dimensioni di 60 centimetri per 80 e sono in grado di "vedere oggetti grandi come un'automobile correndo a 9 chilometri al secondo". PeruSat-1 pesa 450 chilogrammi ed è stato sviluppato dalla Ads per l'agenzia spaziale peruviana Conida. Tra i prossimi lanci di Vega per il 2016, c'è quello previsto in dicembre con a bordo un satellite per il governo turco; nel 2017 il lanciatore partirà in marzo con il satellite dell'Esa Sentinel 2B, in agosto con i satelliti Optsat e Venus e a fine anno il satellite europeo Aeolus per l'osservazione di venti e nubi.

NUOVI CONTRATTI
L'Ad di Avio, Giulio Ranzo, da Kourou: «Confermata la competitività del nostro lanciatore».  E subito la conferma dei prossimi lanci. Vega è stato scelto dall'Agenzia Spaziale Europea (Esa), per il lancio del satellite Adm-Aeolus in programma alla fine del 2017. La missione svolgerà un ruolo chiave nel programma di esplorazione delle terra. Il satellite Adm-Aeolus consentirà infatti «osservazioni tridimensionali dei venti, consentendo agli scienziati di affinare le conoscenze in materia e migliorare i modelli matematici sul comportamento dell'atmosfera» spiega Avio. Il risultato diretto della missione «sarà una migliore qualità delle previsioni meteorologiche e della ricerca climatologica» aggiunge il Gruppo italiano. Adm-Aelous peserà circa 1.400 chili al decollo e sarà posizionato da Vega in orbita bassa eliosincrona a 320 chilometri di altezza. La missione del Vega partirà anche questa volta dal Centro Spaziale Europeo di Kourou, in Guyana Francese. «La scelta del Vega per questa importante missione è la conferma della competitività del nostro lanciatore» afferma l'ad di Avio Giulio Ranzo.

«Siamo consapevoli - osserva Ranzo - di svolgere un ruolo importante nell'avvio di un programma cruciale per la ricerca scientifica sul nostro pianeta ed esprimo grande soddisfazione per la fiducia accordata dall'Esa al nostro Vega».

IL FUTURO DI AVIO SPAZIO
Ora, mentre il portafoglio di Avio Spazio diventa sempre più gonfio di commesse, la speranza è che diventi realtà la promessa del governo di mantenere l'azienda (in piena espansione perché all'orizzonte c'è già Vega C, versione più potente dell'attuale lanciatore) all'interno del perimetro italiano. Leonardo-Finmeccanica ha il 14% di Avio mentre l'81% è del fondo di private equity britannico Cinven che da tempo è in attesa di compratori. Avio Spazio (ovvero Vega e tutto il tesoro di affidabilità che racchiude) fa però gola a colossi tedeschi e francesi quali Orbitale Hochtecnologie Bremen,  Safran e Airbus e questo tergiversare, compreso il congelamento della quotazione a Piazza Affari, non fa dormire sonni del tutto tranquilli agli oltre 700 fra ingegneri e tecnici di Colleferro. E anche a chi sa che di realtà italiane all'avanguardia come quelle di Avio Spazio ne esistono ben poche: Colleferro è una rara calamita per cervelli stranieri.    


LA SCHEDA
Vega è un vettore di ultima generazione studiato per trasferire in orbita bassa, a circa 700 chilometri dalla terra, satelliti per uso istituzionale e scientifico, per l'osservazione della terra ed il monitoraggio dell'ambiente. Realizzato per il 70% nello stabilimento Avio di Colleferro, nei pressi di Roma, Vega è in grado oggi di mettere in orbita satelliti di massa fino a 1500 chili e completa la famiglia dei lanciatori europei che comprende la serie Ariane.

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