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La normativa militare italiana sugli Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR) la parola “drone” trae le sue origini dal ronzio dei primi modelli simile al rumore prodotto dal maschio dell’ape

22 lug 2016 Aeronautica dal mondo

la parola “drone” trae le sue origini dal ronzio dei primi modelli simile al rumore prodotto dal maschio dell’ape

L'attuale scenario internazionale è caratterizzato in maniera sempre più incisiva dall'uso di quelli che, in gergo giornalistico, vengono definiti droni, sia in operazioni militari che di «polizia internazionale», in primis da parte degli Stati Uniti che, già dal 2001, hanno su di essi ritagliato parte della loro strategia di contrasto nella lotta ai gruppi terroristici di matrice fondamentalista: proprio al maggio di quest'anno, peraltro, risale l'ultima targeted killing da essi (Stati Uniti) compiuta, ai danni del leader talebano Akhttar Mansour, colpito a morte mentre si trovava in un veicolo in una remota area del Pakistan ai confini con l'Afghanistan.

Può risultare di interesse, allora, analizzare la normativa italiana di riferimento, in ambito militare, non prima, però di aver proceduto ad una puntualizzazione terminologica: la parola “drone” trae le sue origini dal ronzio dei primi modelli simile al rumore prodotto dal maschio dell’ape, il fuco (in inglese drone, appunto), ed indica una speciale categoria di oggetti volanti che, in maniera più tecnica, vengono definiti Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR), ossia dei dispositivi di varie dimensioni capaci di volare senza necessità di un pilota a bordo, che rimane a terra – o su un veicolo adiacente – munito di un radiocomando per dirigerne i movimenti.

Nonostante vi fossero stati già i primi prototipi di velivoli senza pilota1 e che di lì a poco la normativa internazionale si sarebbe interessata alla materia2, le norme contenute nel Codice della navigazione italiano del 1942 non avevano previsto nulla al riguardo; fu solo nel 2004, la Legge n. 178 recante “Disposizioni in materia di aeromobili a pilotaggio remoto delle Forze armate” introdusse per la prima volta la definizione di aeromobile a pilotaggio remoto (APR), dettando una disciplina volta a permettere la navigazione aerea e la gestione amministrativa di questo nuovo tipo di velivoli militari3.

L’art. 2 della citata legge, in particolare, autorizzava le Forze Armate italiane ad impiegare i suddetti (APR) per attività operative ed addestrative dirette alla difesa ed alla sicurezza nazionale, in attesa di una normativa che disciplinasse l’aeronavigabilità e l’impiego di tali mezzi aerei nel sistema del traffico aereo generale (GAT), stabilendo altresì che il loro utilizzo avvenisse nell’ambito di aree segregate soggette a restrizioni e con le limitazioni stabilite da un apposito documento tecnico-operativo adottato congiuntamente dall’Aeronautica Militare, l’ENAC e l’ENAV per le problematiche relative al traffico aereo4.

Con la riforma del Codice della Navigazione, introdotta dal D. Lgs. 15 marzo 2006, n. 1515 essi vengono, finalmente, inseriti nell’art.743, ed equiparati agli aeromobili, e disciplinati dalle leggi speciali, dai regolamenti dell’ENAC e- solo quelli militari- dai decreti del Ministero della Difesa6.

In particolare, l’art. 745 cod. nav. stabilisce al secondo comma che gli aeromobili militari (tra cui sono oggi compresi anche gli APR) sono ammessi alla navigazione, certificati e immatricolati nel registro degli aeromobili militari (RAM), detenuto dalla Direzione degli Armamenti Aeronautici e per l’Aeronavigabilità del Ministero della Difesa.

Sempre nel 2006, proprio in attuazione di quanto disposto dall’art. 743, comma 2, del c. nav., il Ministro della Difesa emana il D.M. 23 giugno 2006, relativo ai requisiti e alla classificazione degli APR militari, distinguendoli in7:

CLASSI

SIGLA DI IDENTIFICAZIONE

STRATEGICI

S: mezzo aereo con peso superiore a Kg 500;

TATTICI

T: mezzo aereo con peso da Kg 150 a Kg 500;

LEGGERI

L: mezzo aereo con peso da Kg 20 a Kg 150;

MINI

M: mezzo aereo con peso da Kg 2 a Kg 20;

MICRO

m: mezzo aereo con peso inferiore a Kg 2.

Successivamente, la legge n. 178/2004 viene abrogata con l’entrata in vigore del D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), che disciplina l’utilizzo degli APR militari agli artt. 246 e seguenti, i quali, per buona parte, richiamano il dettato normativo previgente.

Di particolare importanza, nel nuovo impianto legislativo, l’art. 247, comma 1, che autorizza le Forze Armate italiane ad impiegare gli APR per attività operative ed addestrative dirette alla difesa ed alla sicurezza nazionale; mentre ai commi 2 e 3 si prevede che il loro impiego avvenga nell’ambito di spazi aerei determinati e con le limitazioni stabilite in un documento tecnico operativo redatto dall’aeronautica militare (o dalle forza armata che lo utilizza) previa consultazione di ENAC ed ENAV.

Accanto alle citate disposizioni, vi sono poi caveat e norme d'ingaggio, oltre alle norme internazionali (in primis, quelle sui conflitti armati- Loac: Laws of armed conflict-, alle quali si aggiungono, per i corpi di spedizione, quelle del paese nel quale queste forze si trovano o si troveranno ad operare): ma di questo si parlerà in altra occasione.

 

 

1 Il primo tentativo di costruire e utilizzare un velivolo senza pilota, del quale si possa trovare traccia nella storia, risale al 1849, quando gli Austriaci attaccarono la città di Venezia utilizzando dei palloni caricati di esplosivo: alcuni di questi sistemi vennero lanciati dalla nave austriaca Vulcano. I successivi esempi e prototipi di velivoli senza pilota fecero la loro comparsa durante la prima guerra mondiale: ne è un esempio l'”Aerial Target” nel 1916, che veniva controllato mediante tecniche di radio controllo. Il 12 settembre dello stesso anno, l'aeroplano automatico Hewitt – Sperry, o anche noto come “bomba volante”, compì il suo primo volo, dimostrando il concetto di aereo senza pilota. Il velivolo veniva comandato grazie ad una serie di giroscopi montati internamente (fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Aeromobile_a_pilotaggio_remoto).

2 La Convenzione di Chicago, stipulata il 7 dicembre 1944, avrebbe assimilato in via di principio gli APR agli aeromobili. All’ art. 8, infatti, avrebbe previsto che: "nessun aeromobile manovrabile senza pilota può sorvolare senza pilota il territorio di uno Stato contraente, salvo autorizzazione speciale di detto Stato e conformemente alle condizioni di questa. Ogni Stato contraente s'impegna a provvedere affinché il volo senza pilota di un tale aeromobile nelle regioni aperte agli aeromobili civili sia controllato in modo da evitare qualsiasi pericolo agli aeromobili civili"

3 L’art. 1 della citata legge definiva, infatti, l’Aeromobile a Pilotaggio Remoto (APR) come “un mezzo aereo pilotato da un equipaggio operante da una stazione remota di comando e controllo” evidenziando, dunque, una della peculiarità del nuovo strumento bellico, ossia l’assenza di compenetrazione fisica tra aeromobile e pilota.

4Le limitazioni, come era precisato nella relazione illustrativa della legge, riguardavano i profili di missione, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti, ivi comprese l’emissione di appositi NOTAM, le comunicazioni radio e radar e le condizioni meteorologiche. Unica deroga era che in caso di conflitto armato o di situazioni di crisi, gli APR potevano essere impiegati senza alcun tipo di limitazione.

5 Tale decreto reca “Disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96 recante la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione a norma dell’articolo 2 della legge 9 novembre 2004, n. 265”.

6 Il Codice della Navigazione disciplina l’uso degli aeromobili militari in maniera estremamente limitata (di fatto, esso si occupa dell’uso civile degli aeromobili) ed infatti, all’art. 748, stabilisce espressamente che esso (il Codice) non si applica agli aeromobili militari ivi inclusi gli APR militari. Ciò vuol dire che, tra l’altro, sotto il profilo penalistico a questi ultimi non sono applicabili gli specifici reati previsti e puniti dal Codice della navigazione, diversamente dall’aspetto civilistico, uguale “in toto” a quello previsto per gli aeromobili civili, atteso che l’art. 965 cod. nav., diversamente dal passato, non solo non prevede più alcuna differenza tra aeromobili civili e di Stato, ma ha espressamente sancito che anche gli aeromobili militari siano soggetti alla particolare responsabilità per i danni causati da un aeromobile a persone o cose sulla superficie.

7 Come da Tabella A riportata nel decreto in argomento. Vedasi, per approfondimenti, quanto riportato al link:

http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Bimestrale/2015/Documents/06_2015/3VECCHIENUOVIPROBLEMIDIDIRITTOMILITARE.pdf, “Vecchi e nuovi problemi di diritto militare”, Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, anno 2015.

Fonte: http://www.difesaonline.it/evidenza/diritto-militare/la-normativa-militare-italiana-sugli-aeromobili-pilotaggio-remoto-apr